«La Casa Bianca ha ragione, non si può solo tagliare»

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BRUXELLES. Il dibattito sulla diseguaglianza aperto dal presidente Obama deve essere fatto anche nell’Unione europea, che dovrebbe dotarsi di «un sistema di allerta nei casi di ineguaglianza troppo crescente». È quanto dice a l’Unità il presidente del Parlamento europeo e candidato alla presidenza della Commissione Ue, Martin Schulz.
Negli Stati Uniti la diseguaglianza e la mobilità sociale sono al centro del dibattito politico. Secondo lei è il segno che gli Usa stanno scoprendo le virtù del modello sociale europeo o che i democratici americani hanno imparato la lezione della crisi più degli europei?
«Non posso che sostenere pienamente la volontà e le proposte del presidente Obama per riequilibrare un modello economico che ha portato a livelli sempre crescenti di ineguaglianza, erodendo la classe media e pensando che la ricchezza sarebbe calata dall’alto verso il basso. È presto per parlare di una svolta “europea” nella presidenza Obama, ma spero che dopo Obamacare, il Congresso possa sostenere questo sforzo riformatore sul salario minimo, educazione e eguaglianza nel salario tra uomo e donna. Spero anche che il dibattito possa riverberare in Europa. L’ineguaglianza non è solo un problema di giustizia sociale, ma è anche economico. In Europa abbiamo una diseguaglianza dentro gli Stati e una diseguaglianza tra gli Stati. E con la crisi sono cresciute entrambe».
Cosa ha fatto la Ue per ridurre le diseguaglianze?
«Il Parlamento europeo si è battuto per una politica regionale ambiziosa e per aumentare la dotazione del Fondo Sociale europeo, ottenendo un finanziamento di 10 miliardi di euro all’anno per investire in capitale umano e lottare contro gli aspetti peggiori della globalizzazione. Molto resta ancora da fare. I poteri, le competenze e le risorse dell’Unione in materia di lotta alle diseguaglianze restano limitati a causa dell’ostinazione degli Stati membri. L’Unione non può tassare e non può redistribuire risorse tra i suoi cittadini. L’Unione non può indebitarsi e ha un margine limitato per condurre politiche sociali. Negli ultimi anni ci siamo spesi per creare strumenti correttivi e di prevenzione per la politica macroeconomica, ma troppo poco è stato fatto per creare politiche anticicliche. Nel semestre europeo le raccomandazioni sulle politiche sociali rimangono non vincolanti. Questo è il frutto di una decisione politica: perché l’Unione si è dotata di strumenti così forti a favore della disciplina di bilancio, ma non contro la lotta alle diseguaglianza e alla povertà? Perché non è stata considerata una priorità».
Quali sono le proposte dei Socialisti & Democratici?
«Le politiche dell’Unione devono essere riequilibrate: abbiamo imposto patti di stabilità, una lotta senza quartiere al deficit e al debito, abbiamo creato troike e bail-out. È arrivato il momento di voltare pagina, per un’Europa che sia orientata anche a una crescita giusta, sostenibile e di qualità. Dobbiamo abbandonare l’ossessione che ci ha pervaso e che prevede che solo attraverso i tagli si potrà riacquistare fiducia e competitività. Si guardi al caso americano o giapponese. In queste economie sviluppate la crescita sta ritornando e le politiche perseguite sono certamente più progressiste di quanto non lo siano state in Europa in questi anni. Un altro tema che deve acquistare nuova centralità anche a livello europeo è la lotta all’evasione fiscale: una delle forme più subdole attraverso cui le ineguaglianze vengono alimentate. Per questo, l’Unione deve riuscire a imporre la sua forza politica a Paesi terzi, superando logiche bilaterali che portano a un risultato peggiore per tutti. L’Unione europea può contribuire direttamente alla lotta alla diseguaglianza tra Stati attraverso la sua politica di coesione. Come candidato sono convinto che sia arrivato il momento di iniziare a esaminare la situazione sociale anche all’interno degli Stati e creare un sistema di allerta nei casi di ineguaglianza troppo crescente».


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