2014, tempo di elezioni

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In nessuno di questi Paesi le elezioni hanno cambiato radicalmente il volto del governo; e tuttavia i risultati sono stati importanti e in alcuni casi piuttosto sorprendenti. In Iran l’elezione di Hassan Rouhani ha cambiato il tono di Teheran e forse ha aperto la porta a una soluzione diplomatica duratura al conflitto sul programma nucleare iraniano. In Italia, se non altro, il governo Letta ha segnato una svolta generazionale senza precedenti nella politica italiana.  In Norvegia e in Austria populisti, destra ed estrema destra hanno guadagnato consensi. In Germania Angela Merkel è stata riconfermata con una netta affermazione personale e del partito; e tuttavia sarà costretta a governare assieme alle SPD, in una Grosse Koalition il cui programma è piuttosto ambizioso. In Israele, infine, la coalizione di centro-destra guidata da Benjamin Netanyahu ha perso terreno e ha minor margine di manovra in un Parlamento piuttosto diviso e dal quale sono stati esclusi gli ultra-ortodossi. Insomma, le elezioni del 2013 hanno sicuramente marcato un cambiamento importante per gli elettori che sono stati chiamati alle urne.

Le conseguenze, tuttavia, hanno interessato relativamente poco il resto del mondo. Mentre il voto in Italia e Germania potrebbe aver cambiato qualcosa in questi Paesi, gli equilibri internazionali non sono mutati. A livello globale, le elezioni del 2013 non passeranno alla storia. Diverso potrebbe essere per il 2014, un anno ricco di consultazioni importanti le cui conseguenze potrebbero riverberarsi ben oltre i confini nazionali per assumere un significato globale.

Aprile potrebbe cambiare gli equilibri del Medio-oriente. Il 5 del mese si terranno le elezioni presidenziali in Afghanistan dove, nonostante i tentativi di riforma del sistema elettorale dopo le elezioni del 2009, le elezioni sono suscettibili di essere afflitto da corruzione e mancanza di sicurezza. Il presidente Hamid Karzai non può correre per un terzo mandato e tra gli sfidanti per la successione ci sono il fratello Qayum, ma anche pericolosi predicatori e signori della guerra. Con le forze internazionali in programma di ritirarsi dall’Afghanistan entro la fine del prossimo anno e gruppi talebani ancora forti in numerose parti del paese, il nuovo presidente dovrà affrontare un futuro difficile. Nel vicino Iraq, poi, il 30 aprile il primo ministro in carica Nouri al -Maliki cercherà di raccogliere un terzo mandato ora che la Corte suprema irachena ha ribaltato una legge che lo limitava a due. La cattiva notizia per Maliki è che le 2013 elezioni provinciali non sono andate bene per la sua coalizione, che ora controlla meno della metà delle province a maggioranza sciita. La violenza settaria è in aumento in Iraq e queste elezioni preoccupano gli osservatori internazionali. Non è difficile intuire che in aprile gli occhi di molti Paesi saranno puntati su Afghanistan e Iraq e che gli esiti delle elezioni potrebbero condizionare il futuro di tutta l’area.

Tra maggio e ottobre dovrebbero tenersi due elezioni dall’esito piuttosto sicuro, in Sud Africa e Brasile. In Sud Africa si rinnova per la quinta volta l’assemblea nazionale in un Paese che festeggia il 20 ° anniversario della fine dell’apartheid. L’African National Congress (ANC) che è stabilmente al governo dal 1994 dovrebbe restare al potere; tuttavia, sarà quasi certamente indebolito dall’ascesa delle opposizioni.  Ci si aspetta un esito simile per le elezioni in Brasile, il cui presidente uscente Dilma Rousseff sembra destinato a mantenere il suo posto di lavoro, nonostante un importante calo di consensi.

Molto più incerto si preannuncia l’esito delle elezioni del Parlamento europeo, in programma per il 25 maggio. Tutti danno ormai quasi per scontato il balzo in avanti dei partiti populisti, un incubo per i principali partiti di destra e di sinistra. Anche se questi ultimi sembrano comunque destinati a mantenere il controllo del Parlamento, ci sono tutti gli ingredienti per una campagna elettorale aspra, combattuta su toni nazionalistici e con orizzonti di breve termine: proprio il contrario di quello di cui i Paesi europei avrebbero bisogno.

Non va meglio negli Stati Uniti, dove in novembre saranno eletti i 435 membri della Camera dei Rappresentanti e un terzo dei 100 membri del Senato. Le recenti polemiche per i problemi legati all’implementazione della riforma sanitaria voluta da Obama sembrano destinate a infiammare la campagna elettorale. I repubblicani hanno bisogno di raccogliere solo sei seggi per vincere una maggioranza al Senato, mentre i democratici avrebbero bisogno di raccogliere diciotto seggi alla Camera per diventare maggioranza. Nessun presidente negli ultimi 100 anni ha visto il suo partito riconquistare la maggioranza alla Camera nella sua seconda elezione di medio termine e se indici di gradimento di Obama continuano ad affondare sembra difficile rompere questa tendenza.  

A queste elezioni se ne aggiungono altre, i cui risultati sembrano piuttosto prevedibili ma le cui sorti potrebbero interessare le regioni in cui si trovano: Colombia, Indonesia e Turchia probabilmente cambieranno presidente nel corso del 2014. Quello che non dovrebbe cambiare, invece, è lo status costituzionale della Scozia, i cui abitanti voteranno in ottobre nel il referendum sull’uscita dal Regno Unito. Al momento i sondaggi sembrano indicare una sconfitta degli scissionisti guidati da Alex Salmond, ma in questi tipi di consultazioni le sorprese sono spesso dietro l’angolo. Se la Scozia diventasse indipendente, le conseguenze sarebbero incalcolabili: per il Regno Unito, ma anche per tutte le altre realtà federali che sono state costruite con fatica, tenendo assieme parti differenti, dalla Spagna all’Unione Europea.

Dall’Afghanistan alla Scozia il passo è lungo, ma gli equilibri internazionali sono ormai retti su una geografia globale. Queste elezioni terranno in molti con il fiato sospeso. Alla fine del 2014 il mondo politico sarà abbastanza diverso da quello che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni.

Lorenzo Piccoli


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