Da Assad 007 occidentali per fermare Al Qaeda

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TUTTI a Damasco. Gli stessi che fino a pochi mesi fa volevano bombardare le basi del regime siriano, corteggiano adesso la cerchia del presidente Bashar al Assad, minacciando di tagliare i pochi aiuti che ancora offrono alla parte più virtuosa dell’opposizione. A determinare questo repentino cambio di rotta delle cancellerie di Londra e Washington non è una nuova condotta dei generali lealisti, che con i loro Mig continuano a bombardare ogni villaggio conquistato dai nemici, bensì la paura del dopo: il timore di ciò che potrà accadere un domani, se a vincere questa guerra che negli ultimi tre anni ha già ucciso 130mila persone fossero i
jihadisti più radicali, le falangi del Fronte al Nursa o i qaedisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante.
Certo, in molti contano sugli effetti benefici degli incontri di Ginevra2 di mercoledì prossimo, e affinché anche l’opposizione invii una sua nutrita rappresentanza, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno cominciato a ricattarla dicendosi pronti a rivedere i loro piani di sostegno. Ma gli agenti delle intelligence occidentali che in queste ore affollano gli hotel di Damasco, più che della conferenza svizzera stanno discutendo con i loro omologhi del regime sulla questione delle minacce terroristiche. La notizia di questo nuovo dialogo tra 007 l’ha diramata ieri il vice ministro degli esteri siriano, Faysal al Miqdad, che però non ha voluto precisare quali governi abbiano riaperto i contatti in materia di sicurezza.
E’ come se nelle menti dei leader occidentali si stesse delineando un cambio di priorità, e che questi avessero deciso che prima di abbattere Assad vada bloccato il dilagare dei jihadisti. La cosiddetta “Free Syria”, ovvero quella parte del Paese finita nelle mani della rivolta è oggi terra di nessuno. Il mese scorso, le stesse forze d’opposizione hanno lanciato la loro offensiva contro quei jihadisti con i quali
avevano combattuto fino ad allora fianco a fianco. Su quest’altro fronte aperto dall’Esercito libero siriano assieme al fronte islamico moderato (vicini ai Fratelli musulmani) contro i
qaedisti più agguerriti si contano già migliaia di morti.
Sempre ieri, il mondo si è mobilitato per il popolo siriano con aiuti per più di 2,4 miliardi di dollari, meno della metà dei 6,5
miliardi fissati dalle Nazioni Unite. Un risultato raggiunto nel corso della seconda conferenza internazionale dei donatori per la Siria, svoltasi nella sfarzosa cornice del Palazzo
Bayan, a Kuwait City. Poco prima, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, aveva avvertito che un siriano su due ha bisogno di aiuto. «Abbiamo detto forte e chiaro al popolo
siriano che non lo dimentichiamo, e ai Paesi confinanti che ospitano i profughi che non dovranno portare questo fardello da soli», ha commentato Ban Ki-moon una volta resa nota la cifra raccolta (l’Italia è il terzo contributore nell’Unione europea con 50 milioni di dollari). Secondo Amnesty International, la risposta mondiale è «clamorosamente inadeguata, perché le continue violenze hanno causato una delle peggiori crisi umanitarie della storia recente». Intanto, in attesa che tra mille difficoltà si apra a Ginevra un colloquio tra le parti, è necessario sfamare, proteggere e curare i 10 milioni di siriani afflitti dalla guerra.


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