Gli ambasciatori di Pd e Forza Italia trattano sul modello spagnolo

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ROMA — Ufficialmente le proposte di legge elettorale di Matteo Renzi sono tre e sono sullo stesso piano. In realtà, delle tre una è considerata dal segretario del Pd quella che ha le maggiori probabilità di arrivare a destinazione: il modello spagnolo. Per questo si moltiplicano i segnali di attenzione al sistema ispanico e si preparano nuovi incontri tra gli ambasciatori di Matteo Renzi, a cominciare da Maria Elena Boschi, e quelli di Silvio Berlusconi, Denis Verdini e Renato Brunetta in testa.
La mano tesa a Forza Italia è arrivata proprio da Renzi, alla conferenza stampa di Firenze, poco prima di pronunciare il fatidico «Fassina chi?»: «Forza Italia è un interlocutore molto importante. È il secondo partito e al momento non ha espresso una posizione. Sto aspettando che la esprima e aspettiamo di vedere cosa deciderà». Come a dire che la riuscita della trattativa (anche se il termine non piace a Renzi) dipende in primis dalla disponibilità del partito di Silvio Berlusconi. Che ha una forza parlamentare decisamente superiore a quella del Nuovo centrodestra. Renzi lancia segnali e istruisce gli ambasciatori. Berlusconi manda i suoi e si prepara a incassare un colpo che avrebbe un duplice effetto: riportarlo al centro della politica, o almeno ridargli un ruolo dopo gli ultimi mesi di guai, e dare un colpo forse fatale all’odiato governo di Enrico Letta.
Già, perché come tutti sanno, l’effetto collaterale più probabile della medicina spagnola potrebbe essere proprio quello di una crisi di governo. Perché il Nuovo centrodestra, orientato sul sistema del «sindaco d’Italia», non apprezza un sistema che avrebbe come prima conseguenza la sua defenestrazione sicura dal Parlamento. Ed è pronta a far pesare l’affronto, abbandonando al suo destino il governo di larghe intese.
Il sistema spagnolo è un proporzionale che, grazie ai (piccoli) collegi provinciali, ha effetti maggioritari. Premia i partiti più grandi (e quindi il tripolarismo Pd, Fi e M5S) e quelli territoriali (come la Lega Nord). L’effetto di sbarramento «implicito» è determinato dai piccoli collegi, che eleggono, secondo la proposta renziana, fino a cinque deputati. Quello «esplicito» è dato dalla clausola di sbarramento del 3 per cento, che però in Spagna serve soltanto nelle circoscrizioni più grandi, Madrid, Barcellona e Valencia, che eleggono fino a 30 rappresentanti. Insomma, le grandi formazioni (grazie anche a un complesso metodo matematico per la conversione dei voti in seggi, il metodo del divisore d’Hondt) vengono sovrarappresentate, a dispetto di quelle medio-piccole. Ma restano ben rappresentate anche le formazioni regionali, i cui consensi sono concentrati in specifiche zone del Paese.
Resta un’incognita non secondaria: la Corte costituzionale. Perché secondo alcuni costituzionalisti e politologi, tra i quali Gianfranco Pasquino, la Consulta potrebbe bocciare il premio di maggioranza del 15 per cento, previsto nella versione renziana. Tra gli scettici c’è Stefano Ceccanti, secondo il quale in Italia il sistema spagnolo potrebbe non funzionare: in un contesto tripolare come l’attuale, si potrebbe non avere una maggioranza nemmeno con il 15 per cento.
Renzi è convinto che la «quadra» si possa trovare proprio su questo sistema, anche se c’è chi ritiene che l’opzione spagnola sia solo un diversivo. Una sorta di minaccia per convincere Angelino Alfano a più miti consigli. E magari anche una spada di Damocle sulle sorti dell’esecutivo, da far calare come una mannaia in caso di necessità.
Alessandro Trocino


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