I 14 mila lavoratori socialmente utili tra ricatti e sporcizia

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Specializzati nel mettere toppe peggiori dei buchi, in questa occasione i nostri legislatori devono aver preso addirittura spunto dalla famosa frase pronunciata da James Lovell, il comandante della missione lunare fallita nel 1970. «Il Governo attiva un tavolo di confronto che entro il 31 gennaio 2014 individua soluzioni normative o amministrative ai problemi occupazionali connessi alla successiva utilizzazione delle convenzioni»: ecco le ultime parole dell’ultimo comma (il 748) della legge di Stabilità. Ne avevamo viste davvero tante, finora. Mai però una legge che dicesse «c’è un problema e solo un mese per risolverlo, ma non si sa come…». Dimostrazione plastica della confusione nella quale si trova l’esecutivo di fronte a un fatto che minaccia di trasformarsi in una bomba sociale.
Il problema riguarda 14 mila precari utilizzati per la pulizia delle scuole che fra un mese rischiano di restare tutti a casa a causa dei tagli imposti al bilancio già dal 2010. Un’emergenza cui il governo ha risposto con un balbettio: quel comma della legge di stabilità che ipotizza il solito «tavolo di confronto» tra «le amministrazioni interessate, gli enti locali e le organizzazioni rappresentative dei lavoratori interessati». Peccato che quel tavolo, mentre la data del 31 gennaio si avvicina pericolosamente, non sia mai stato aperto. La verità è che non lo vuole nessuno. Il ministro del Lavoro Enrico Giovannini ha già troppe rogne. Come pure quello dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. Palazzo Chigi, poi, neppure a parlarne. Così il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza, nonostante le lettere con cui ha inondato la presidenza del Consiglio e gli appelli rivolti ai colleghi, è rimasta con il cerino in mano. Assediata dalle proteste, rincorsa dai precari, con un minaccioso rumore di fondo che sale sempre più al trascorrere delle ore. L’unica che gli ha dato retta, a quanto pare, è la segretaria della Cgil Susanna Camusso.
Le cose stanno diventando gravissime al Sud. In Puglia non passa giorno senza che il prefetto di Lecce sia costretto a calmare gli animi, con manifestazioni continue dei lavoratori socialmente utili (lsu) in predicato di restare senza occupazione. Ma anche al Nord non si scherza. Qualche giorno fa su questo giornale Valentina Santarpia ha documentato le condizioni assolutamente inaccettabili in cui versano alcune scuole a Venezia, rimaste addirittura chiuse per motivi igienici, mentre 151 istituti sono stati messi sotto osservazione in Veneto.
Perché la guerra dei 14 mila lsu della scuola ha pure queste conseguenze. Il fatto è che dai 620 milioni di euro che si spendevano per le pulizie degli edifici scolastici si è passati ora a non più di 390, con gare gestite dalla Consip. E il taglio ha avuto ripercussioni inevitabili su una massa enorme di personale precario che si era accumulato negli anni.
Tutto è cominciato nel 1999, quando una legge ha stabilito che da quel momento in poi lo Stato si sarebbe occupato dell’igiene scolastica, in precedenza affidata a dipendenti degli enti locali che così sono transitati nei ruoli dell’amministrazione centrale. Accanto a questi, però, molte migliaia di lavoratori a tempo determinato: ex lsu assunti dagli enti locali oppure organizzati in consorzi a loro volta titolari di contratti con Comuni e Province. Lì c’era di tutto. Dai disoccupati più disagiati fino a gruppi di ex detenuti. In molti casi solida base di consenso per politici locali.
Così clientele e assistenzialismo avevano pompato il loro numero fino all’inverosimile. E quando a quei contratti con gli enti locali è subentrato il ministero dell’Istruzione, dai Comuni il problema si è trasferito allo Stato. Finché si è stabilito che quei servizi dovessero essere affidati tramite gara e sono spuntate le cooperative, che di volta in volta, come succede normalmente quando una ditta subentra all’altra in un appalto pubblico di pulizie, assorbivano quel personale. Ma la questione non sarebbe forse esplosa se prima Bruxelles non avesse aperto una procedura di infrazione sul modo in cui si gestivano quegli appalti, e soprattutto se non fossero arrivati i tagli. Il risultato è che ora ci sarebbe posto solo per 11.851 dei 26 mila ex lavoratori socialmente utili impiegati finora. Le situazioni più critiche, ovviamente, si riscontrano nelle Regioni dove quei lavoratori sono particolarmente numerosi. Basta dire che le risorse destinate alle pulizie nelle scuole si ridurrebbero del 40 per cento in Sicilia, del 50 per cento in Puglia e del 60 per cento in Campania. A Napoli e Salerno, uno dei tredici lotti in cui è suddiviso l’appalto Consip, la gara dovrà essere ripetuta: si è presentato un solo concorrente.
La vicenda è stata fin qui colpevolmente sottovalutata. Anche perché è una spia preoccupante di quello che potrà succedere altrove quando i rubinetti della spesa pubblica si dovranno chiudere ancora di più. Quante siano le persone sussidiate con forme di lavoro socialmente utili o assimilate in tutta Italia è complicato da calcolare. Solo quelle a carico dello Stato avevano superato qualche anno fa il numero di centomila. Senza considerare le Regioni, le Province e i Comuni, prevalentemente meridionali. Basta pensare alle migliaia di operai forestali calabresi o alle decine di migliaia di loro colleghi siciliani. Una faccenda esplosiva che tira in ballo le responsabilità di quegli amministratori che negli anni, hanno pensato di risolvere le tensioni sociali distribuendo posti di lavoro inutili. Ma anche dei politici che hanno usato il clientelismo indecente a spese dei contribuenti come mezzo per ottenere voti. Senza curarsi delle conseguenze.


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