I sindacati in Amazon? No grazie
Con un semplice colpo di mouse su Amazon, si può acquistare, tra gli altri, un libro intitolato There Is Power in a Union: The Epic Story of Labor in America. Peccato che in Amazon i sindacati non siano previsti. I dipendenti del gigante americano, sono invitati a considerarsi «imprenditori di se stessi» e agire come tali: negoziare con l’azienda e non cadere nella trappola dei sindacati. Il rischio è quello di diventare poco produttivi e interessati alle questioni politiche, anziché ai guadagni. E’ il magico – e supposto nuovo — mondo di alcune internet companies.
Nel 2000 all’interno delle pagine della intranet aziendale di Amazon, comparve un articolo rivolto ai dipendenti, il cui titolo era «Perché i sindacati non sono desiderati». Il motivo era il seguente: uno dei customer care dell’azienda era stato percorso da proteste che avevano portato alla richiesta di sindacalizzazione dei lavoratori. Nell’articolo, i cui stralci furono pubblicati allora dal New York Times, si leggeva che «i sindacati promuovono attivamente la diffidenza verso le autorità di vigilanza e creano anche un atteggiamento poco collaborativo tra gli associati portandoli a pensare di essere intoccabili perché appartenenti ad sindacato».
I sindacati — aggiungeva la nota — «limitano gli incentivi associati al merito e sono contrarie alla filosofia aziendale». Operazione abortita e non solo, perché in seguito ad una riorganizzazione e al taglio dei costi Amazon cessò il servizio. Va specificato che allora l’e-commerce non produceva i numeri attuali in termini di fatturato, ma dal 1997 Amazon si è quotato in borsa, con risultati che hanno portato a moltiplicare 420 volte il fatturato di allora (nel 2012, dati de Le Monde Diplomatique, è stato di 62 miliardi di dollari).
Il voto contrario dei lavoratori
L’azienda di Seattle in questi giorni sembra rivivere quelle giornate, ma con un risvolto particolare: nel Delaware un micro gruppo di lavoratori, questa volta, ha votato contro la propria sindacalizzazione. Si tratta di una vicenda che ha due punti rilevanti: innanzitutto si tratta di una esigua minoranza della forza lavoro dell’azienda di Seattle per quanto riguarda il comparto in oggetto: i 27 lavoratori del magazzino rappresentano una minima parte dei 1500 che lavorano per l’azienda a Middletown.
Una percentuale ancora più esigua se messa in relazione agli ormai 110 mila dipendenti di Amazon (che per la prima volta dall’ottobre 2013 ha superato in termini di forza lavoro la Microsoft). Nonostante si tratti di pochi lavoratori, il voto negativo nei confronti della sindacalizzazione però sancisce l’impossibilità di effettuare una nuova votazione nel corso dell’anno. Da parte della dirigenza Amazon naturalmente, grande soddisfazione per l’esito: «Con il voto i nostri dipendenti hanno detto chiaramente che preferiscono un contatto diretto con Amazon. Un contatto diretto è la modalità più efficace per capire e rispondere quello che i dipendenti vogliono e quali sono le loro necessità» ha affermato un portavoce di Amazon, Mary Osako. «I dipendenti hanno ricevuto intense pressioni dai manager per sopprimere la spinta a organizzarsi. Continueremo a lavorare con loro — ha raccontato John Carr, portavoce dell’International Association of Machinists and Aerospace Workers, che aiuta i lavoratori a organizzarsi — perché godano dei diritti che spettano loro in base alla legge federale».
E l’azienda americana per vincere questa microbattaglia, ha assoldato importanti società di comunicazione per ingaggiare una campagna pubblicitaria interna e convincere — con successo a quanto pare — i propri dipendenti.
Scandali e nazisti
Il problema è che Amazon è da tempo al centro di inchieste che ne hanno rivelato gli aspetti più oscuri. Man mano che è cresciuto il suo business sono venuti fuori scandali. Il più clamoroso è arrivato dalla Germania la scorsa estate, quando attraverso un reportage di una televisione tedesca si appresero le condizioni di lavoro presso i centri Amazon. Vigilantes, lavoratori ammassati a dormire in sei in una stanza, intermediazione di agenzie interinali vicini ad ambienti nazisti. Se si esclude questa connotazione politica, il servizio dimostrava una straordinaria vicinanza tra la Amazon, considerata il fiore all’occhiello delle aziende dell’internet e la Foxconn, famigerata produttrice di smartphone taiwanese, per conto della Apple.
E come la Foxconn, Amazon e il suo fondatore Bezos, sono considerati a tal punto infastiditi dalle richieste dei diritti dei propri lavoratori, che pensano già alla loro sostituzione con i robot. Secondo quanto comunicato dall’azienda di Seattle, nel 2012 la società avrebbe speso 775 milioni dollari per acquistare un produttore di robot da utilizzare per i lavori più pesanti all’interno dei proprio magazzini. «Non è una questione di costo per noi, ha spiegato Dave Clark, vice presidente delle operazioni internazionali e del customer care della società, è che i sindacati sono degli intermediari che vorranno avere voce in capitolo su tutto, dalla programmazione dei dipendenti ai cambiamenti nei processi per la gestione e il confezionamento degli ordini. Amazon ha la necessità di introdurre rapidamente i cambiamenti eventuali, per migliorare l’esperienza dei propri clienti. Si tratta di ciò che costituisce il nostro rapporto è con la nostra gente».
Sarebbe opportuno ricordare a Clark l’epoca in cui vive e la responsabilità che un’azienda che fattura oltre 16 miliardi di dollari all’anno ha ormai nello scenario internazionale. Solo due anni fa, come ricorda un articolo del New York Times, un articolo investigativo del quotidiano The Morning Call in Pennsylvania mostrava le pessime condizioni di lavoro in un magazzino di Amazon nello stato. «Più di recente, ha scritto il Times, una ditta che fornisce i dipendenti a tempo determinato per i magazzini di Amazon è stata sottoposta ad una class action dai lavoratori.
Bezos e le novità
Qualcuno si è posto il problema: cosa staranno pensando gli 800 lavoratori del Washington Post, appena acquisito da Jeff Bezos (con un investimento di 250 milioni di euro, appena l’uno percento del suo patrimonio personale), molti dei quali per altro sono in pieno rinnovo contrattuale? Bezos infatti, il fondatore di Amazon, il visionario, il futurista – considerato dalle cronache mainstream un libertario digitale — è l’uomo sul quale molti hanno posto tutte le speranze per il futuro dell’editoria mondiale; tutti si augurano che un manager capace di rivoluzionare un’industria, possa portare alla soluzione della crisi dell’editoria. Per ora, però, come capo di Amazon, Bezos è il mandante principale della politica anti sindacale dell’azienda che ha fondato. Nel 2012 Bezos alla riunione annuale dei soci Amazon, si trovò di fronte la protesta, fisica e presente, per le strade. Il movimento Occupy infatti fronteggiò Amazon, per chiedere un miglioramento delle condizioni di lavoro nei suoi impiati. Secondo The Nation, al contrario di quanto si potesse pensare, Bezos fu piuttosto incuriosito da questa protesta, ma è probabile si tratti di un altro capitolo della sua agiografia, che lo vuole favorevolmente colpito da ogni cosa che possa presentarsi come «nuova».
Gli scandali, alcuni venuti a galla proprio negli Stati Uniti, a proposito del le condizioni schiavistiche all’interno dei magazzini Amazon erano risaputi già allora e Bezos ebbe parole ottimistiche riguardo il futuro dei suoi lavoratori. Promise che Amazon avrebbe speso 52 milioni dollari per installare l’aria condizionata nei suoi magazzini e che avrebbe proclamato l’uscita della sua azienda dall’Alec (American Legislative Executive Council), organizzazione della destra americana, «a causa delle posizioni che hanno preso e che non sono legate alla nostra attività». In un segno ancor più significativo per l’impatto delle proteste, «il solitamente loquace Bezos – scrisse The Nation – avrebbe lasciato la sala senza rispondere alle domande dei giornalisti».
All’epoca però Bezos non annunciò che i dipendenti nei magazzini di Amazon avrebbero ricevuto i benefici dovute in base alle leggi statali e nazionali, o che Amazon avrebbe smesso di costringerli a dichiararsi imprenditori indipendenti, la soluzione utilizzata da Amazon per evitare la sindacalizzazione dei lavoratori. E a quanto pare in Delaware, ci hanno creduto.
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