Il miraggio dello Sportello unico, 19 anni dopo non funziona ancora

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ROMA — Eppur si muove. Innanzitutto ha cambiato nome. Lo sportello unico infatti adesso è il Suap (Sportello unico per attività di impresa) previsto da una legge del 2008 ma entrato in funzione solo nel 2010. Obiettivo: consentire alle imprese di avere un interlocutore unico per le pratiche burocratiche invece di dover girare per mille uffici. Il numero dei Comuni che se ne fregano della legge e continuano a far finta di niente (si chiamano «silenti») è drasticamente diminuito ed è passato dai 621 di tre anni fa ai 153 di dicembre. Ma dire che nei 7.900 Comuni «accreditati» al ministero le cose funzionino e le imprese possono lavorare in via telematica e senza impazzire è assolutamente una bugia. Il caos normativo (secondo una indagine della Confartigianato ci vogliono 84 procedure per aprire un’officina meccanica) viene esasperato dalla mancanza di dialogo delle varie banche dati. «È un problema noto, il governo ha creato anche l’Agenda digitale ma si procede troppo a rilento», commenta Gaetano Maccaferri, imprenditore e vicepresidente di Confindustria con delega alla semplificazione «quella è la vera soluzione, senza standardizzare i sistemi informatici non si va da nessuna parte».
Dopo lunghissimo studio (4 anni!) una indagine conoscitiva parlamentare sull’anagrafe tributaria è arrivata a stabilire che in Italia ci sono 129 banche dati che fanno fatica a connettersi tra di loro e — soprattutto — con quelle delle amministrazioni locali. Il federalismo infatti è una cosa seria: ognuno va per sé. Lo sportello unico, che ha una incredibile storia gestionale (concepito 19 anni fa sostanzialmente oggi funziona per un terzo) è installato in quasi tutti i Comuni italiani (a parte i 153 irriducibili). Quelli che funzionano in proprio (cioè quasi sempre male eccetto Milano, Roma e Torino) sono 4.939, mentre sono circa 3.000 quelli si sono collegati con i sistemi informatici delle Camere di Commercio e qui le cose vanno un po’ meglio. Secondo i dati forniti da Unioncamere il numero di pratiche nei «loro» sportelli sta avendo una accelerazione geometrica: erano meno di 5 mila nel 2001, sono passati a 42 mila nel 2012 e nel 2013 hanno sfiorato i 90 mila con Lombardia e Veneto nella parte del leone. «Tutto l’apparato del Suap si muove male e a macchia di leopardo — afferma Massimo Vallone, responsabile del settore digitale di Confcommercio — in molti casi lo sportello unico è in grado di fornire online all’impresa solo la modulistica, che va poi stampata e spedita o portata negli uffici comunali, senza contare la differenza di sistema informatico e normativo che varia da Comune a Comune, da Regione a Regione, spesso è un inferno».
Per cercare di superare le difficoltà da anni ogni due-tre mesi gli esperti delle associazioni imprenditoriali si incontrano al ministero competente, «se ne discute ma non succede mai nulla». Il problema è vecchio e conosciuto come la data di nascita dello sportello unico. Forti le gelosie delle amministrazioni locali a difendere i loro orticelli e in molti casi anche i loro «investimenti» in sistemi informatici magari potenti ma non dialoganti. Al ministero dello Sviluppo, quello che ha in mano il pallino di questo caos, confessano che molta confusione è stata fatta dal Titolo V della Costituzione (2001) che ha rafforzato i poteri di Comuni e Regioni anche in questa vicenda. E alla domanda di quando il sistema Suap potrà funzionare in modo soddisfacente, ammettono che ci «vorrà ancora qualche anno».
Confindustria ha denunciato danni ingenti da questa mancata semplificazione: per l’ufficio studi è di 30,98 miliardi l’anno il costo burocratico complessivo delle 93 procedure ad alto impatto sulle aziende e di quasi 9 miliardi l’anno il risparmio se venissero adottati integralmente gli interventi di semplificazione. Come ha spiegato lo stesso Maccaferri nella sua audizione al Senato del settembre scorso, la «spesa media per le piccole e medie imprese per tutti gli adempimenti burocratici è di poco inferiore ai 12 mila euro l’anno pari al 7,4% del fatturato o a 30 giornate lavorative (2001) che sono salite a 37 nel 2012». Una spirale infernale che, al di là del buon incremento del numero delle pratiche presso i Suap delle Camere di Commercio, continua ad avvitarsi.
Per superare questo impasse a Confindustria è venuta l’idea di proporre la creazione di un Tutor che assiste l’impresa presso gli sportelli unici. Al governo è piaciuta ed è stata inserita nel disegno di legge sulla semplificazione. Ma al ministero dello Sviluppo nicchiano e temono che questa novità alla fine sia destinata a complicare le cose. «Se il Comune non riesce a dotarsi di un Suap efficiente — si osserva — perchè mai ci dovrebbe riuscire il Tutor?»
Roberto Bagnoli


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