Il segretario non teme imboscate: sta nascendo la Terza Repubblica

by Sergio Segio | 30 Gennaio 2014 9:22

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ROMA — Niente brindisi, ma un lungo sorso di Coca-cola ghiacciata con cui mandar giù l’ansia della lunga notte insonne e battezzare l’Italicum, che Matteo Renzi considera «la prima pietra della Terza Repubblica». Nella stanza del leader al Nazareno, alle 13 di ieri si respirava un clima euforico, appena venato da un filo di preoccupazione: «Andiamoci piano con i trionfalismi, ragazzi… Siamo solo all’inizio di un percorso».
I più scatenati tra i renziani lo sognano a Palazzo Chigi già dopo le Europee, dopo una «staffetta soft» con Enrico Letta ed è lui, il leader, che li prende da parte e li fa ragionare: «Guidare il governo non è nei miei piani, non adesso». Prova ne sia il fatto che subito dopo la firma dell’accordo ha rilanciato sulle riforme, a partire dal Jobs act. E poiché ha il vento dalla sua e vuole «prendere l’onda», nel pomeriggio si è messo al lavoro su Titolo V e nuovo Senato.
Il leitmotiv di Matteo non cambia, neanche quando Alfano gli chiede di mettere la faccia sul rimpasto: «Ci sono milioni di italiani senza lavoro e noi parliamo di poltrone? Di rimpasto e ministri è bene che se ne occupino gli addetti ai lavori». E se nell’entourage del premier temono ancora che Renzi voglia tenersi le mani libere, lui rimanda il problema: prenderà in mano il dossier solo dopo la direzione del Pd, il 6 febbraio. Adesso la sua priorità è preparare la battaglia parlamentare, che si giocherà tutta a voto segreto. Il fronte è insidioso, ma Renzi ha rassicurato i suoi: «Non temo imboscate, il partito terrà, la minoranza sarà corretta. Cosa ci guadagnano Cuperlo e gli altri a stoppare una riforma che si basa su due capisaldi del Pd, come bipolarismo e ballottaggio?». Parole che, a sera, il segretario ha ufficializzato al Tg1, dopo aver ricevuto nella war-room, assieme a Lorenzo Guerini, Maria Elena Boschi, Dario Franceschini e Graziano Delrio, anche il capogruppo Roberto Speranza in segno di riconciliazione con l’ala sinistra. L’incubo dei «101» che impallinarono Prodi è scolpito a tinte fosche nella memoria dei «dem», eppure nello stato d’animo del leader la fiducia sembra avere la meglio sul timore di rompersi l’osso del collo: «I franchi tiratori? Sarebbe il colmo se quelli che fino a oggi non sono riusciti a fare la legge si nascondessero. Sono molto ottimista, l’accordo può essere migliorato in Parlamento e approvato rapidissimamente». Ieri mattina, quando ancora la trattativa rischiava di naufragare, Renzi si è attaccato al telefono e, dopo aver risentito Alfano e gli altri leader, ha deciso che con Berlusconi era arrivata l’ora di forzare la mano. Ha minacciato di chiudere con la maggioranza un’intesa contro Forza Italia e poi, per strappare il «sì» sulla soglia del 37 per cento, lo ha blandito come fanno le sirene con i marinai: «Presidente, rinuncia a porre la prima pietra della Terza Repubblica?». E quando ha avuto la certezza di avere l’accordo in tasca, il segretario ha chiamato Napolitano per comunicargli che era fatta.
Ma adesso nella minoranza il tema delle alleanze tiene banco, molti temono che l’accordo porti il centrodestra a ricompattarsi. Che fine farà Sel? Renzi si sente tranquillo anche su questo fronte, anzi pensa che la nuova legge lo aiuterà a riscoprire la «vocazione maggioritaria» del Pd. «Matteo ha fatto bingo, avanti così e vince da solo con il 40 per cento…» progetta in grande Paolo Gentiloni. Renzi ci va cauto. Però se tornasse indietro rifarebbe esattamente lo stesso percorso pur di «rompere l’incantesimo» dell’immobilismo, inizierebbe la trattativa dal leader di Forza Italia infrangendo ancora, tra le polemiche, il tabù della sinistra: «Berlusconi? Non sono io che l’ho resuscitato… È il capo del centrodestra e gli avversari non si scelgono».
Monica Guerzoni

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