Il sindaco non cambia strategia L’arma del sistema spagnolo

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Ai collaboratori più stretti, che ha visto uno via l’altro al Nazareno, Matteo Renzi ha descritto il breakfast di Palazzo Chigi a caffè, cornetto, yogurt e spremuta come un «nulla di fatto», a dispetto delle note positive intonate dall’entourage del premier. Se il disgelo è iniziato, la primavera resta lontana. «Su unioni civili e Bossi-Fini io non arretro, Enrico. Le proposte del Pd restano tutte, io non accetto veti».
Nel Pd si parla di «tregua armata». La cronaca degli ultimi due giorni la dice lunga sullo stato dei rapporti tra i due, che ormai si ritengono reciprocamente «rivali». Il faccia a faccia doveva tenersi giovedì, ma al mattino la tensione ha sfiorato la rottura, complici le uscite del renziano Dario Nardella. Tanto che i mediatori (Franceschini, Lotti, Delrio) hanno dovuto lavorare sodo per convincere Renzi a non rimandare ancora l’incontro. Finché, a sera, il segretario ha spedito un algido sms a Letta: «Domani, alle 8?». Novanta minuti dopo il calcio d’inizio, sempre via sms, era il premier a fare la sintesi con uno dei suoi: «È andata abbastanza bene…». Dove in quell’«abbastanza» sta il nocciolo duro dello scontro.
Il punto non è solo la dannatissima fretta di Renzi di chiudere un accordo con Alfano sulla legge elettorale entro fine mese. Il nodo è la sua determinazione a proseguire le consultazioni parallele ricercando un’intesa con Berlusconi. Ufficialmente un incontro con il Cavaliere non è in agenda, ma al Nazareno se ne parla come di una cosa «inevitabile» e «imminente». A Letta il segretario ha detto di non avere «nulla in contrario alla legge dei sindaci», ma ha anche espresso la sua preoccupazione: «Se la vota solo la maggioranza, finiamo sotto il ricatto di Casini… Io non voglio usarla contro di te, ma voglio costruire il consenso più ampio possibile». E ai suoi ha aggiunto: «Il forno del sistema spagnolo non posso chiuderlo, devo tenermi aperta una seconda strada se il Senato delle autonomie non si fa». Lo spagnolo spaccherebbe la maggioranza e porterebbe dritto al voto, per questo Renzi ha dovuto rassicurare Letta, insospettito dai ritmi da centometrista di Matteo: «Ho detto a Napolitano che non voglio le elezioni. Mi sta anche bene la primavera del 2015, ma il governo deve correre. Il rimpasto? Non mi interessa. Però basta chiacchiere e liturgie». Dove la prima «liturgia» che Renzi ha spazzato via è il tavolo di maggioranza chiesto da Scelta civica.
L’arma del sistema spagnolo è lì, sul tavolo delle trattative. Come resta valida l’altra suggestione inconfessabile, quella di Renzi che prende il posto di Letta senza passare per il voto. Tema che il sindaco ha già smentito e che nel suo entourage liquidano con il «no comment» di prassi. Andare a votare certo gli piacerebbe, ammettono i fedelissimi, ma il segretario ha capito che la porta è stretta e si è messo a lavorare, con tutte le sue energie, per «stravincere» le europee: «Ragazzi, sulla legge elettorale le abbiamo azzeccate tutte. Se andiamo avanti così ci intestiamo la fondazione della Terza Repubblica!». Ieri al Nazareno ha lavorato full time da segretario, ha visto Franceschini, Delrio, la Boschi, Lorenzo Guerini e sondato i capigruppo, Speranza e Zanda. Ha compreso che, se vuole evitare incidenti sul patto di governo, deve coinvolgere gruppi e commissioni e arrivare «alla proposta più condivisa possibile, a partire dal Jobs Act». Il 14 incontrerà i senatori e il 21 i deputati, spaccati a metà fra renziani e lettiani. In mezzo, nella sua agenda, un’altra segreteria all’alba il 15 e, il 16, la Direzione con Enrico Letta.
Monica Guerzoni


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