Le carte sull’arresto del re dei rifiuti rubate un anno fa Il giallo al Palazzo di giustizia

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La prima richiesta era sparita dagli uffici del Tribunale il 16 luglio scorso. Non proprio un dettaglio trattandosi di una settantina di faldoni circa (l’indagine ricostruisce dieci anni di smaltimento) custoditi nella stanza di un giudice del Tribunale di Roma. Un furto che, al di là del deficit nel sistema di sicurezza del palazzo — le risorse, come è noto, sono al lumicino e le telecamere nei corridoi funzionanti erano prive del supporto su cui registrare — sembra essere riconducibile, «alla sfera di influenza esercitata dagli odierni indagati, la cui “onnipresenza” all’interno della pubblica amministrazione è conclamata da una serie infinita di riscontri» (così si legge nell’integrazione del pm Alberto Galanti).
Non è il primo incidente di percorso di un’inchiesta che ha impegnato tre pubblici ministeri e altrettanti procuratori prima della svolta nel 2013 sotto il coordinamento della Dda e del procuratore capo Giuseppe Pignatone.
Già nel 2011, mentre si indagava sullo smaltimento dei rifiuti ad Albano Laziale e gli investigatori del Noe avevano ormai il sospetto di una sponda «cerroniana» in Regione, le verifiche rischiarono di andare a monte per la rimozione delle microspie dagli uffici della presidenza. «Un grave tentativo, ordito dal Fegatelli (Luca Fegatelli, manager della Regione Lazio, ora ai domiciliari, ndr ) che, con metodi autoritari ed in spregio alla giustizia» ottenne di bonificare le stanze della presidenza e quelle dei dirigenti di Renata Polverini. Una «bonifica pilotata» e finanziata con denaro pubblico dal dirigente al servizio di Cerroni, perfettamente «a conoscenza della liceità dei dispositivi installati dai Carabinieri», che allungò la vita al sodalizio criminale. Da quel momento in poi, con la prospettiva della chiusura di Malagrotta, Cerroni alza il tiro cercando alleanze più alte (spedirà una lettera anche al presidente del consiglio Mario Monti) facendo pressione sui prefetti e manipolando informazioni anche ambientali (vantava un suo dipendente Fabio Ermolli fra i dirigenti dell’Arpa). Siamo nel 2008. Il presidente della Regione è ancora Piero Marrazzo (indagato per abuso d’ufficio e falso, tutto sul filo della prescrizione viste le date). Cerroni può contare sui suoi uomini fra cui Arcangelo Spagnoli (deceduto), navigato funzionario regionale al quale il Re delle discariche assegna il compito di neutralizzare l’unica voce contraria alle sue attività, quella di Filiberto Zaratti (Verdi). Spagnoli e altri utilizzano la stampa. Affiorano colloqui con la giornalista di Libero Beatrice Nencha e del Corriere Francesco di Frischia, che si occupa di Regione e rifiuti. E che, ad esempio, domanda a Spagnoli: «Di questa Via negativa di Albano (una Valutazione di impatto ambientale per il termovalorizzatore, ndr ) che mi dici?». Mentre Spagnoli gli forniva dati, che «si ritroveranno pedissequamente nell’articolo» scrive il Noe, creando difficoltà a Zaratti, Spagnoli lo invita a mettere nei pezzi contro Zaratti «più cattiveria»: «…e che ca… se sei giornalista sfrutta ste cose come aneddoti gustosi, giustissimi insomma…». E ancora: «Ti sei tenuto come un pallone frenato…». Nell’informativa anche l’interrogativo-ipotesi di un incontro fra il giornalista e Cerroni «Al bar Palombini» la sera prima di una pubblicazione.
Ilaria Sacchettoni


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