Le Costituzioni di Tunisia ed Egitto una aperta, l’altra militarizzata
Se la Carta tunisina è una delle più liberali del mondo arabo, prodotto di un pur difficile dialogo e di un lungo confronto tra le forze politiche, quella egiziana riflette la polarizzazione della società e conferma la svolta reazionaria del nuovo regime, che in realtà è un ritorno al passato.
In Occidente ha fatto giustamente notizia che il documento di Tunisi sancisca la parità uomo-donna. Ma anche in quello del Cairo questa c’è, seppure più blanda. E in entrambe si parla di Islam religione di Stato: per la Tunisia però la sharia, la legge coranica, non sarà fonte primaria di diritto (per l’Egitto invece sì) perché — ed è questa la vera notizia — il partito più forte, l’islamico Ennahda, ha ritirato la sua iniziale richiesta per raggiungere un compromesso con l’opposizione laica. Quest’ultima a sua volta ha offerto concessioni minori e alla fine l’impasse che dall’estate paralizzava il Paese è stata in gran parte risolta.
Ad aiutare la riconciliazione tra forze politiche, e rendere possibile se non ancora certo un futuro «normale» per la Tunisia, sono stati vari fattori. Ma il più evidente è la scomparsa delle brutali forze di sicurezza che per trent’anni hanno reso possibile la dittatura di Ben Ali. In Egitto invece l’esercito al potere politico ed economico dal 1952, dopo una breve pausa più di facciata che reale, ha consolidato il suo controllo sul Paese. E nella nuova Costituzione l’elemento cruciale sono gli estesi poteri concessi proprio ai militari, e ai loro alleati nella polizia e tra i giudici. Nessuna conciliazione né dialogo con le opposizioni. Nessuna prospettiva di un futuro «normale» .
Cecilia Zecchinelli
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