L’ombra di Confucio si stende su Pechino

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Doveva acca­dere. Ed è acca­duto. Alcune set­ti­mane fa il Pre­si­dente XiJin­ping, dopo aver pre­sen­tato il pro­prio pro­gramma di riforme al III Ple­num del Comi­tato Cen­trale del Par­tito Comu­ni­sta Cinese, di cui è Segre­ta­rio Gene­rale, si è recato in veste uffi­ciale a Qufu, nello Shan­dong, luogo natio di Con­fu­cio. Un atto inso­lito per un lea­der, di grande valore sim­bo­lico, con rica­dute di non poco conto sul piano poli­tico, un mes­sag­gio chiaro inviato all’interno e all’esterno della Cina.

Emu­lando il Primo Impe­ra­tore dei Qin, che dopo l’unificazione impe­riale, avve­nuta nel 221 avanti Cri­sto., aveva avviato l’era nuova che sarebbe dovuto durare «die­ci­mila gene­ra­zioni» recan­dos iprima nel tem­pio ance­strale della sua fami­glia a ono­rare i pro­pri ante­nati e in seguito sui monti sacri­nelle quat­tro dire­zioni a ono­rare gli spi­riti e le divi­nità che gli ave­vano assi­cu­rato soste­gno e pro­te­zione, così XiJin­ping subito dopo la pro­cla­ma­zione ha reso defe­rente omag­gio a Mao Zedong, padre fon­da­tore della Cina moderna, e a Deng Xiao­ping, senza la cui visione «lun­gi­mi­rante e corag­giosa» la Cina non sarebbe riu­scita a rie­mer­gere tanto rapi­da­mente dall’angolo buio in cui la sto­ria l’aveva rele­gata. Come a dire: restiamo sal­da­mente anco­rati all’ideologia maoi­sta, pur con­sa­pe­voli che il pro­cesso di ristrut­tu­ra­zio­nee di con­so­li­da­mento del ruolo poli­tico inter­na­zio­nale del paese avviato oltre trent’anni fa è tutt’altro che concluso.

Discen­denze imperiali

Per raf­for­zare la sua posi­zione all’interno del par­tito, a metà otto­bre ha festeg­giato con grande enfasi il cen­te­na­rio della nascita del pro­prio geni­tore, lea­der rivo­lu­zio­na­rio degli anni Trenta, noto per le sue posi­zioni mode­rate, Xi Zhon­g­xun. Una ceri­mo­nia solenne, tenu­tasi nella Grande Sala del Popolo in piazza Tia­nan­men, un evento con­si­de­ra­toda alcuni spro­por­zio­nato rispetto al reale peso poli­tico rico­no­sciuto al padre, ma neces­sa­rio al segre­ta­rio del Pcc per rimar­care con un atto di amore filiale le sue «nobili» ori­gini («prin­ci­pini» o «discen­denti impe­riali» sono chia­mati i figli dei rivo­lu­zio­nari che hanno com­bat­tuto per la liberazione).

Per com­ple­tare il qua­dro man­cava però ancora qual­cosa: san­cire con un gesto ine­qui­vo­ca­bile il nuovo corso, dare un segnale chiaro della volontà di col­mare il vuoto ideo­lo­gico crea­tosi in seguito all’avvio di poli­ti­che di mer­cato libe­ri­ste e al fre­ne­tico svi­luppo eco­no­mico, che hanno modi­fi­cato in modo radi­cale la strut­tura pro­dut­tiva e sociale del paese, pro­porre un nuovo sistema di valori in grado di for­nire rispo­ste valide agli impel­lenti pro­blemi di ordine pra­tico e alle mol­te­plici sol­le­ci­ta­zioni di ordine morale pro­ve­nienti da ampi strati della popo­la­zione, ritro­vare un’etica di governo in grado di con­tra­stare le lusin­ghe di ric­chezze e pri­vi­legi, raf­for­zare il sistema di con­trollo sociale, soprat­tutto in quelle aree del paese meno bene­fi­ciate dal suc­cesso eco­no­mico. Impri­mere, in altre parole, un impulso nuovo al pro­ces­sodi riva­lu­ta­zione dei valori e degli ideali tra­di­zio­nali, volto a favo­rire la tra­sfor­ma­zione del sistema di gestione e comu­ni­ca­zione del potere da una strut­tura partito-centrica di stampo auto­ri­ta­rio a una più fluida, dif­fi­cil­mente omo­lo­ga­bile a modelli di gover­nance noti.

Frul­lati ideologici

Per con­ser­vare il ruolo domi­nante di cui godeva in pas­sato, il Par­tito comu­ni­sta si è tro­vato a dover rifor­mu­lare i pro­pri fon­da­menti teo­rici e rive­dere le pro­prie stra­te­gie comu­ni­ca­tive. Abban­do­nati i modelli impor­tati dall’Occidente, rive­la­tisi poco appli­ca­bili alla realtà cinese, è al pro­prio patri­mo­nio storico-culturale e, in par­ti­co­lare, al con­fu­cia­ne­simo, che ha garan­tito una sostan­ziale unità del paese per oltre due mil­lenni, che si guarda con rin­no­vato inte­resse. Il gra­duale pro­cesso di con­fu­cia­niz­za­zione che sta coin­vol­gendo l’intera società e lo stesso par­tito ha assunto pro­por­zioni inim­ma­gi­na­bili fino a poco tempo fa e rap­pre­senta la mag­gior novità in ambito intellettuale.

Il mes­sag­gio di Xi è chiaro: tale pro­cesso non potrà pro­se­guire per suo conto, non si vuole favo­rire una mera restau­ra­zione del pas­sa­toma pro­muo­vere un movi­mento che, guar­dando al futuro, sap­pia fare la sin­tesi tra il libe­ra­li­smo eco­no­mico intro­dotto da Deng, i valori etici pro­mossi da Con­fu­cio e l’ideologia di Mao,a cui non si intende in alcun modo rinun­ciare (in ballo c’è la soprav­vi­venza stessa del par­tito e del suo ruolo guida) e di cui Xi si erge a mas­simo inter­prete e difen­sore. Impresa non facile, se si pensa che nel periodo maoi­sta il con­fu­cia­ne­simo era all’indice in quanto ideo­lo­gia rea­zio­na­ria e deviante, espres­sione del sistema feu­dale del passato.

Alla ricerca dell’etica perduta

La visita a Qufu, l’invito a rileg­gere le opere di Con­fu­cio per ritro­vare il signi­fi­cato pro­fondo del suo inse­gna­mento, soprat­tutto nel campo dell’etica di governo e dello stile di vita vir­tuoso (chiaro rife­ri­mento al pro­blema della cor­ru­zione dila­gante che rischia di minare la cre­di­bi­lità stessa delle isti­tu­zioni), l’esortazione a divul­gare le dot­trine con­fu­ciane «che pos­sono gio­care un ruolo posi­tivo nella costru­zione della nuova era» e a far sì che «il pas­sato sia messo a ser­vi­zio del pre­sente» sono tutti segnali che vanno verso un’unica dire­zione. Un endor­se­ment a dop­pio bina­rio: esal­tare Con­fu­cio signi­fica infatti pro­muo­vere le dot­trine del grande Mae­stro, ma al tempo stesso anche porsi sotto l’ombrello del suo pre­sti­gio e della sua auto­re­vo­lezza, pur­ché ciò avvenga nell’alveo indi­cato d Mao e da Deng. Que­sta volta non si è fatto come all’inizio del 2011 quando venne col­lo­cata nel cor­tile del Museo della Sto­ria a piazza Tia­nan­men un’imponente sta­tua di Con­fu­cio, taci­ta­mente rimossa pochi mesi dopo. La visita a Qufu non potrà essere can­cel­lata, è un fatto che resterà, inu­tili saranno quindi le pole­mi­che e i ripensamenti.

Non una visita di cir­co­stanza dun­que, ma un viag­gio poli­tico a tutti gli effetti, nello stile degli anti­chi sovrani. Il primo a recarsi nello sper­duto vil­lag­gio di Qufu­per ono­rare Con­fu­cio fu il fon­da­tore della dina­stia Han Occi­den­tale (206 avanti Cri­sto — 9 dopo Cri­sto), Gaozu, che nel 195 aavanti Cri­sto decise di ren­dere omag­gio a Con­fu­cio nel luogo che gli aveva dato i natali.

Vis­suto quat­tro secoli prima, Con­fu­cio era con­si­de­rato un semi-dio dotato di facoltà sovran­na­tu­rali, che avrebbe tra­smesso ai suoi disce­poli dot­trine eso­te­ri­che e annun­ziato pro­fe­zie che si sareb­bero imman­ca­bil­mente avve­rate. Gaozu rese omag­gio all’uomo e alla divi­nità, allo stu­dioso rino­mato e al mae­stro di gene­ra­zioni di disce­poli, i cui inse­gna­menti sareb­bero diven­tati ideo­lo­gia di stato per i suc­ces­sivi due mil­lenni. Nel pic­colo tem­pio costruito accanto alla sua abi­ta­zione, che certo non aveva l’imponenza di quello attuale, Gaozu offi­ciò una solenne ceri­mo­nia, che diede ini­zio a una con­sue­tu­dine rituale che verrà seguita dagli impe­ra­tori suc­ces­sivi fino al 1911.

Alla fine del periodo impe­riale si con­ta­vano circa 1500 tem­pli sparsi un po’ ovun­que. Come tutti i cen­tri di culto, dopo il 1949 anch’essi furono abban­do­nati o distrutti nel corso della Rivo­lu­zione Cul­tu­rale. Solo quello di Qufu si salvò, essendo monu­mento nazio­nale dal 1961. Nel 1994 l’Unesco ha con­fe­ri­tolo sta­tus di Patri­mo­nio dell’Umanitàall’intero com­plesso, secondo per dimen­sione alla Città Proi­bita di Pechino.


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