Privatizzazione delle Poste in agenda entro fine 2014

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L’operazione ha subito una prima accelerazione nel tardo pomeriggio di ieri, con una riunione che si è tenuta a Palazzo Chgi, presieduta dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi, con il viceministro dello Sviluppo Economico con delega alle telecomunicazioni, Antonio Catricalà. La riunione, si legge in una nota ufficiale, ha riguardato in particolare «la definizione del quadro regolatorio della convenzione tra Cassa Depositi Prestiti e Poste e i crediti verso lo Stato di quest’ultima società».
Era stato il premier ad anticipare alcuni aspetti dell’operazione che, per certi versi, rivela aspetti inediti per il mercato italiano. Nell’ambito del piano che prevede anche la valorizzazione – tra le altre – della società delle reti (Terna e Snam) e di Fincantieri, Enrico Letta aveva dichiarato che il governo aveva intenzione di studiare «con l’azienda e i sindacati l’apertura del capitale di Poste e di altre aziende e la partecipazione dei lavoratori all’azionariato, permettendo loro la rappresentanza negli organi societari».
Accantonati, così, i progetti di apertura ai privati di singoli rami (Bancoposta piuttosto che Poste Vita), la società guidata da Massimo Sarmi potrebbe mettere sul mercato, nei prossimi 6-8 mesi, il 30-40% del capitale di Poste spa, favorendo l’ingresso di investitori istituzionali, investitori retail e i dipendenti. Con un ruolo di questi ultimi anche nella governance della società.
Una strada intrapresa anche da altre società omologhe in Europa. La maggioranza degli operatori – dalla Germania all’Olanda, dal Belgio al Regno Unito – è stata privatizzata dopo una quotazione in Borsa e lo Stato ha mantenuto (tranne che in Olanda) il controllo delle società. Lo stesso per i dipendenti: dopo il processo di quotazione, hanno il 6% del capitale Germania, il 10% dell’inglese Royal Mail, passando per il 5,4% dell’Austria e il 5% del Portogallo.


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LAVORO E ART.8.  Adesso che il decreto della manovra è convertito in legge posso dirlo: ciò che mi colpiva di più era non tanto l’enormità  della nefandezza commessa con l’ormai famigerato art. 8 – Sacconi è quello che è e lo sapevo – quanto piuttosto il clima creato da concomitanti convergenze di comportamento che ne ha accompagnato e alla fine favorito l’iter approvativo.

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