Scuola gratuita? Le famiglie pagano 335 milioni l’anno

by Sergio Segio | 16 Gennaio 2014 13:49

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L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”. Così secondo la Carta Costituzionale ma nei fatti nell’anno scolastico 2012/2013 le famiglie hanno versato milioni di euro nelle casse degli istituti. Secondo un monitoraggio, presentato nei giorni scorsi dalla Flc – Cgil (Federazione lavoratori della conoscenza), su 407 scuole di tutte le regioni e di ottantotto province, il contributo dei genitori al funzionamento della scuola pubblica statale è di ben 335.593.153 euro. Soldi usati per spese che dovrebbe sostenere lo Stato: dall’acquisto della carta igienica ai progetti didattici. Un dato parziale che conferma un trend negativo dal momento che tale cifra resta invariata rispetto all’anno precedente. “Questi contributi – spiega Domenico Pantaleo, segretario nazionale della Flc Cgil – finiscono per sostituire ciò che lo Stato dovrebbe fornire alle scuole. Spesso non sono integrativi ma da qualche anno sono fondamentalmente legati alla riduzione dei trasferimenti. In questo modo si viola un principio costituzionale. È del tutto evidente che tutto ciò non si può scaricare sui dirigenti scolastici: se il ministero garantisse alle scuole i fondi non accadrebbe tutto ciò. C’è poi la necessità di assicurare la trasparenza dei bilanci nelle scuole: queste cifre devono essere contabilizzate con chiarezza”.
Un tema caldo in questi giorni in cui si è tornati a parlare di tagli con il rischio che le famiglie debbano continuare a supplire lo Stato: “La Flc non ha firmato l’accordo sugli scatti – continua Pantaleo – perché è del tutto evidente che se vai a tagliare i fondi Mof (Miglioramento offerta formativa) significa penalizzare gli studenti e l’autonomia scolastica”.
SULLA QUESTIONE era già intervenuta la Legge 296/2006 che non consentiva di imporre tasse o “richiedere contributi obbligatori alle famiglie di qualsiasi genere o natura per l’espletamento delle attività curricolari. Eventuali contributi per l’arricchimento dell’offerta culturale o formativa possono essere versati solo ed esclusivamente su base volontaria”.
Un principio totalmente disatteso visto che secondo il monitoraggio della Cgil tutte le scuole del secondo ciclo chiedono contributi in un intervallo d’importi che va da un minimo di 15 euro a un massimo di 230 euro. Lo sa bene Mario Rusconi, vice presidente dell’Associazione nazionale presidi: “Dall’epoca della Gelmini noi dirigenti siamo stati attaccati. Il contributo volontario è legittimo ma non può essere legato ad alcuna contromisura. Ci sono presidi che fino all’anno scorso hanno minacciato di non distribuire le schede di valutazione senza l’apporto delle famiglie. Non ci dev’essere alcuna forma di ricatto. I contributi devono essere evidenziati nel bilancio della scuola e dev’essere specificato con una delibera del consiglio d’istituto come sono spesi. Bisogna evitare che siano usati per la fiscalità generale”.
Soldi che, grazie alla Legge 40/2007, possono essere detraibili nella misura del 19%: un particolare che spesso i genitori non conoscono e che pochi dirigenti scolastici mettono in evidenza. Durissimo il presidente dell’Age (Associazione Genitori) Fabrizio Azzolini, particolarmente attento alla questione in questa fase d’iscrizioni in cui spesso si chiedono contributi con bollettini: “Questa è un’imposta occulta che grava sulle famiglie. Se anni fa il contributo non incideva sui bilanci famigliari, oggi è necessario prendere una posizione per fermare questa tassa. Spesso i genitori che non versano sono additati dalla scuola”.
INTANTO, secondo i dati dell’ agenzia Eurydice sugli investimenti sull’istruzione, l’Italia sarebbe tra i pochi Stati ad aver disinvestito sulla scuola rispetto al 2012: – 1,2%. Mentre in Romania (+ 6%), Turchia (+ 19%), Islanda (+9%) e Belgio (+27%) si aumentano i bilanci, nel Bel Paese ci si affida alle famiglie.

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