Violentata e bruciata a 16 anni orrore in India, la rabbia delle donne

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A POCO più di un anno dallo stupro su un autobus di Mumbai, che fece scattare un’ondata di proteste in tutto il paese, l’India ripiomba nell’incubo della violenza contro le donne. Protagonista dell’ultimo fatto di cronaca è una studentessa 16nne di Calcutta, stuprata due volte ad ottobre da un branco e poi arsa viva qualche giorno fa dagli stessi aggressori che volevano impedirle di testimoniare in tribunale contro di loro. La ragazza è morta per le ferite il 31 dicembre e ieri centinaia di persone a Calcutta sono scese in piazza nel suo nome, in una manifestazione che nei modi e nella rabbia ricorda molto da vicino quelle che accesero il paese un anno fa.
L’incubo è iniziato a fine ottobre: a pochi metri da casa, non lontano da Calcutta, la ragazzina fu aggredita e stuprata da un branco di uomini. Il giorno dopo, spezzando il muro di omertà che resta fortissimo nel paese, andò a denunciare il tutto alla polizia locale, facendo i nomi dei responsabili. La risposta della gang fu un nuovo stupro, con la richiesta esplicita di ritirare la denuncia. La studentessa tenne duro, tornò dalla polizia e raccontò di nuovo quello che era accaduto, chiedendo protezione: le sue implorazioni non vennero ascoltate. Settimane dopo, sotto il terrore di minacce costanti, la giovane e la famiglia furono costretti a cambiare casa e si trasferirono nella zona di Calcutta più vicina all’aeroporto. Ma non ritirarono la denuncia.
Una scelta che si è rivelata fatale: alla vigilia di Natale, gli stupratori, individuato il nuovo indirizzo, si sono presentati a casa della studentessa e l’hanno aggredita per la terza volta, questa volta dandole fuoco con una tanica di benzina. Nonostante le ustioni la giovane ha resistito una settimana in ospedale, durante la quale ha avuto la forza di fare alla polizia il nome di chi le aveva appiccato le fiamme sul corpo: gli stessi, ha detto, che l’avevano violentata.
Il branco — di cui la polizia indiana ha reso noto un solo nome — è ora sotto processo per stupro e omicidio, aggravato dal fatto che la giovane era incinta al momento della morte. Esami del Dna sono in corso per stabilire chi fosse il padre del bambino, ma non ci sono dubbi sul fatto che fosse il frutto delle aggressioni subite. «L’hanno uccisa per impedirle di parlare al processo», ha detto il padre ai politici di Calcutta che ieri hanno partecipato ai funerali della ragazza.
La presenza dei leader locali non ha contribuito a calmare la rabbia della gente: erano centinaia ieri in strada a urlare contro la polizia e le autorità a cui la ragazza si era rivolta per ben due volte e che non le avevano garantito la protezione necessaria.
La vicenda ha immediatamente preso una piega politica: con le elezioni politiche alle porte fra pochi mesi, il partito del Congresso al potere è accusato di non aver fatto nulla per difendere le indiane. Nel mirino, ancora di più, ci sono le autorità locali, le prime a cui le donne si rivolgono in caso di aggressione e che in questi mesi non hanno fatto molto per rispondere al crescente numero di denunce.
Una conseguenza della vicenda dello scorso anno è il fatto che le vittime denuncino più di prima: in alcuni casi esemplari — vedi quello di Mumbai, dove gli accusati sono stati condannati a morte — ci sono state pene pesanti. Ma nulla è cambiato nella sostanza: a fine 2013 nella sola New Delhi sono stati denunciati 1.493 stupri, il doppio rispetto al 2012. Di fronte a quest’ondata di rabbia e coraggio, la risposta delle autorità spesso è stata tristemente evasiva, come dimostra la storia che arriva in queste ore da Calcutta dimostra. Difficile capire se questo nuovo caso potrà scuotere realmente la coscienza di un paese che sembra rassegnato di fronte alla violenza contro le sue donne.


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