“L’Italicum spacca, è giusto così”. Renzi non vuol rincorrere nessuno

by Sergio Segio | 1 Febbraio 2014 23:00

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ROMA — Questo è quello che Matteo Renzi voleva ottenere con la nuova legge elettorale: la chiarezza sostanziale del quadro politico, una frammentazione ridotta al minimo. «E il bipolarismo, soprattutto», spiega ai fedelissimi. Perciò «non vedo perché dovrei preoccuparmi» se Pier Ferdinando Casini torna nel centrodestra. «Ho parlato con lui durante la trattativa sulla legge elettorale. So bene cosa pensa, qual è la sua posizione. Non sono mica sorpreso». Il segretario del Pd dice di aver messo nel conto alcune inevitabili manovre future della politica italiana. «D’altra parte, se vuoi il bipolarismo e spingi per ottenerlo come stiamo facendo noi, è chiaro, è normale che Casini sta di là».
I precedenti sono abbastanza chiari. Nonostante i molti tentativi dell’ultima campagna elettorale, l’Udc e il centro hanno fatto una fatica enorme a dialogare con il Pd. Fino alla rottura finale che portò alla nascita della lista Monti. Mille strizzate d’occhio di D’Alema e Bersani con Casini non hanno portato a nulla. E l’intervista a Repubblica certifica un’adesione elettorale e genetica di quel centro al centrodestra. Il punto infatti non è la scelta ddell’Udc. «È una ricaduta della riforma elettorale di cui prendo atto. Ogni modello di voto rappresenta una spinta a dinamiche aggregative», osserva il capo della minoranza Pd Gianni Cuperlo. Semmai il problema è quale forza di attrazione ha il Partito democratico. «Mi auguro che anche nel nostro campo — spiega l’ex presidente — si possa avere la stessa capacità di aggregare forze diverse». Una capacità che oggi appare indispensabile per arrivare alla soglia del 37 per cento oltre la quale scatta il premio di maggioranza. Per avere più chance nell’eventuale doppio turno.
In verità, il Pd parte molto avvantaggiato. I sondaggi lo danno almeno dieci punti sopra Forza Italia. Come dire: meno bisognoso di alleanze random.
«È così, ma la legge elettorale funziona solo se si è capaci di costruire alleanze. Veltroni prima e Bersani poi sulla scelta degli alleati hanno perso le elezioni», ricorda Beppe Fioroni. Critico verso l’Italicum, il deputato cattolico del Pd prova a immaginare come saranno gli schieramenti una volta approvata la legge frutto dell’accordo Berlusconi- Renzi, tanto più in un sistema sostanzialmente tripolare, con Beppe Grillo sempre nei dintorni del 20 per cento. «Vedo che la riforma ha già rispedito Alfano e Casini dal Cavaliere. Non mi sembra un buon inizio. È possibile che Matteo sia il nostro Maradona, ma anche Dieguito, per vincere, aveva bisogno della difesa. Il Pd va al governo solo se ha degli alleati al centro e alla sua sinistra. La cultura delle alleanze esiste anche nei sistemi bipolari ». Fioroni vede oggi solo la strategia dell’inglobamento. «Pensiamo di annettere Vendola che al contrario è furioso con noi. E pensiamo che basti eleggere qualche centrista nel Pd, Franceschini e Letta, per avere i voti dei moderati. Non basta,
credo».
Certo, il tema delle alleanze è lontano. Le elezioni Europee diranno meglio quali sono i partiti che attraggono voti più che sigle di forze politiche. Senza dimenticare che nell’area centrista di Scelta civica i montiani sembrano guardare a Renzi più che a
Forza Italia. Più vicino è invece l’esame della legge elettorale. La scelta di Casini, secondo Alfredo D’Attore, deve far riflettere il sindaco di Firenze e il Pd sull’impianto dell’accordo. «Così com’è favorisce Berlusconi. È sbilanciato verso gli interessi elettorali del Cavaliere». D’Attore spiega: «Il salva Lega e una soglia che permette ad Alfano di essere ottimista sul superamento sono dati oggettivi. E sono dalla parte di Berlusconi». Sel, l’altra gamba su cui si era retta l’alleanza a febbraio, invece si è allontanata dal Pd e nei sondaggi è a grande distanza dal 4,5 per cento necessario a entrare in Parlamento. «Ecco — dice ancora D’Attorre — non è possibile che Berlusconi salva Maroni e noi abbandoniamo Vendola al suo destino».

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