Da Pietro il Grande a Putin, la storia non è finita

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Negli ultimi giorni lo zar Pie­tro il Grande è stato uno dei per­so­naggi più evo­cati, sulla stampa inter­na­zio­nale. S’è trac­ciato il para­gone tra lui e Putin. Entrambi, s’è soste­nuto, hanno tra­va­sato in un’immensa sfida urba­ni­stica i loro pro­po­siti di gran­deur. L’uno a San Pie­tro­burgo, l’altro a Sochi.

Se Pie­tro fece edi­fi­care sulla palu­dosa foce del fiume Neva l’ex capi­tale impe­riale, con la sua ricca dote di raf­fi­nate archi­tet­ture, Putin ha orga­niz­zato sulle rive del Mar Nero, in un’area sub­tro­pi­cale, un’olimpiade inver­nale, «por­tando la neve in riva al mare» (espres­sione abu­sata di que­sti tempi) e facendo impian­tare nel distretto di Adler, il più a sud di Sochi, strut­ture e infra­strut­ture che tra­su­dano moder­nità, ser­vendo i gio­chi e i loro atleti.

Ma al netto della foga costrut­trice che li acco­muna, i pro­po­siti di Pie­tro e di Putin sono diversi. Il primo, por­tando la corte a ridosso del limes con l’Europa, voleva ele­vare il rango del paese, farlo par­te­ci­pare al con­certo euro­peo e con­tri­buire a model­lare gli equi­li­bri del vec­chio mondo. Putin ha messo in campo un’operazione diversa, se non oppo­sta. I nuovi palazzi di Sochi e la vetrina olim­pica sug­gel­lano la con­ver­sione cul­tu­rale della Rus­sia odierna. Dopo il crollo dell’Urss, nell’epoca in cui era forte l’idea che la sto­ria stesse finendo, per dirla con Fran­cis Fukuyama, si cre­deva che Mosca avrebbe pro­gres­si­va­mente assor­bito i para­digmi del sistema libe­rale. Ma la sto­ria non è finita. Da quando è salito al potere, nel 2000, Putin ha intra­preso un per­corso volto a dare alla Rus­sia un’identità pecu­liare. È la tesi della «demo­cra­zia sovrana» tanto cara al suo ideo­logo, Vla­di­slav Sur­kov. La Rus­sia – que­sto è il succo – è un’entità con tra­di­zioni cul­tu­rali e pra­ti­che poli­ti­che pro­prie. Se ne sta tra Europa e Asia, senza appar­te­nere a nes­suno, se non a se stessa.

È anche que­sto il senso di Sochi: cele­brare il com­pi­mento di un pro­getto poli­tico con un piano edi­li­zio di dimen­sioni impres­sio­nanti. Sono stati spesi 50 miliardi di dol­lari. Una marea di denaro che ha rivo­lu­zio­nato pro­fon­da­mente Sochi e il suo respiro un po’ deca­dente, un po’ affa­sci­nante, di luogo di vil­leg­gia­tura dei tempi sovie­tici. Oggi Sochi è una città che esi­bi­sce un volto nuovo, a tratti avve­ni­ri­stico, a tratti kitsch, con la schiera di locali moda­ioli sorti nel cen­tro della città e il Sochi Park, un parco gio­chi che sprizza rus­sità da qual­che buon poro.

Sono stati costruiti quat­tor­dici com­plessi spor­tivi, 260 chi­lo­me­tri di strade, 200 di fer­ro­vie, 54 ponti, 22 tra­fori e nuovi alber­ghi, oltre a quelli già esi­stenti che sono stati ammo­der­nati, riporta l’agenzia Bloom­berg, rife­rendo che più di 150mila per­sone sono state impie­gate nella rea­liz­za­zione delle strut­ture olim­pi­che, in quello che è diven­tato il più grande can­tiere del mondo. A tutto que­sto vanno aggiunti i 150 chi­lo­me­tri di gasdotti, il nuovo attracco por­tuale, l’ampliamento dell’aeroporto e altre cose ancora. Tra cui la fer­ro­via che col­lega Sochi agli impianti, situati sulla dor­sale mon­tuosa del Cau­caso, dove si svol­gerà una discreta fetta delle com­pe­ti­zioni. Solo quest’opera, di inge­gne­ria estrema, è costata nove miliardi. E chissà quanti, di que­sti, sono quelli deter­mi­nati dalla cor­ru­zione. Se n’è par­lato dif­fu­sa­mente, di que­sta fac­cenda e dei divi­dendi spet­tati agli oli­gar­chi che hanno sguin­za­gliato le loro ruspe a Sochi.

Ma forse è anche il caso di ribal­tare il piano. A l di là della mega­lo­ma­nia di Putin, del giro di maz­zette (ce ne furono anche a Ita­lia ’90, ricor­date?), delle noti­zie che cir­co­lano su alber­ghi non all’altezza e sui biglietti inven­duti, va rico­no­sciuto che i russi, a Sochi, hanno dimo­strato che gli ingra­naggi della loro mac­china orga­niz­za­tiva non sono poi così arrug­gi­niti. Dall’annuncio dell’assegnazione dei gio­chi sono pas­sati sette anni. E guar­date cosa sono riu­sciti a rea­liz­zare, lì sul Mar Nero.

La domanda è se al ter­mine dell’olimpiade tutto que­sto si tra­mu­terà in un’opportunità di cre­scita, come Mosca vor­rebbe. L’idea è fare di Sochi una sorta di Dubai – para­gone comun­que azzar­dato – e di irro­bu­stire la per­cen­tuale di Pil ori­gi­nata dal turi­smo, oggi inchio­data a un misero 1,5%. La sfida è impe­gna­tiva, almeno quanto lo è stata la rea­liz­za­zione di que­sto masto­don­tico pro­getto urbanistico.


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