Una maggioranza più ampia punta su Matteo al Senato ma Sel rischia la scissione

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Roma – Sempre al Senato si torna. Lì, ormai da anni, conta solo il pallottoliere. Ed è ancora lì, tra gli scranni di Palazzo Madama, che Matteo Renzi si misurerà con l’aritmetica. Sulla carta, una staffetta dem a Palazzo Chigi garantirebbe al segretario numeri solidissimi. Ancora più consistenti di quelli conquistati da Enrico Letta. In ballo, infatti, c’è un nuovo e prezioso bottino di voti: quelli di Sel – o di una pattuglia consistente del partito di Nichi Vendola – ma anche di alcuni cinquestelle ormai esasperati dalla diarchia Grillo-Casaleggio.
Il miglior risultato di Letta è datato undici dicembre 2013. Si vota per rinnovare la fiducia all’esecutivo, dopo la scissione del Nuovo centrodestra. In 173 si pronunciano per il sì all’attuale premier. Conteggiando anche gli assenti giustificati, la maggioranza potenziale tocca quota di 179. È quella l’asticella che il sindaco di Firenze punta oggi a superare, per mostrare plasticamente la volontà di rilanciare una legislatura per le riforme.
Numeri alla mano, quindi, l’area di governo di un esecutivo nuovo di zecca targato Renzi potrebbe allargarsi ancora. Sono pronti a sostenerlo i 107 senatori del Pd (Pietro Grasso non vota), 31 di Ncd, 7 di Scelta civica e 12 che militano in “Per l’Italia”. E ancora, 10 parlamentari delle Autonomie, 4 ex M5S (Anitori, Mastrangeli, Gambaro e De Pin), 3 senatori di Gal (Scavone e Compagnone, l’ex leghista Davico). Senza dimenticare i cinque senatori a vita, da Mario Monti a Renzo Piano, Elena Cattaneo, Carlo Rubbia e Carlo Azeglio Ciampi. Ma non basta. Sul fianco sinistro dell’emiciclo di Palazzo Madama si consuma in queste ore un braccio di ferro durissimo. Coinvolge l’intera classe dirigente di Sinistra e libertà e permette a Renzi di sognare una maggioranza di 186-188 senatori.
Lo scontro, nel partito di Vendola, è furioso. Già all’ultimo congresso la linea filo-Tsipras ha deluso l’ala governista. In molti chiedevano di confrontarsi con il Pse e, in prospettiva, convergere con il Pd. Una fetta significativa del gruppo della Camera (la conta informale riporta di una ventina deputati su 37) e alcuni dei sette senatori (4 o 5, peserà molto l’atteggiamento di Dario Stefàno) spinge per il sostegno a un esecutivo guidato dal segretario Pd. Al Senato, poi, potrebbero essere della partita almeno tre o quattro dissidenti grillini, capitanati da Luis Orellana. Con lui, anche Laura Bignami ha firmato di recente una lettera di fuoco contro il vertici pentastellati.
Ma è soprattutto a Montecitorio cheSel assomiglia a una polveriera. La rivalità tra Gennaro Migliore e Nicola Fratoianni ha superato il livello di guardia. Il primo guida l’ala filo renziana, il secondo incarna in questa fase la linea vendoliana. Disponibili a ragionare del nuovo scenario governista sono in molti, a partire da Claudio Fava. L’ex eurodeputato, in rotta con il leader, è pronto a dare battaglia. Con sfumature, ma convinti dell’opportunità di ragionare con Renzi sono anche Ciccio Ferrara, Ferdinando Aiello e Nazzareno Pilozzi: «Sono convinto – sostiene quest’ultimo – che Sel prenderà alla fine una scelta condivisa. Innanzitutto dobbiamo esultare per la caduta di Letta. Ora, però, non dobbiamo restare alla finestra, ma vedere se è possibile costruire qualcosa di innovativo. E ricordiamoci che con il Pd, in Puglia, ci governiamo».
La resa dei conti è prevista per sabato, quando è in agenda un’assemblea dei vendoliani. E se davvero toccherà decidere del sostegno a un nuovo governo Renzi, non è escluso che alla fine si possa raggiungere un compromesso, magari proponendo un sostegno esterno all’esecutivo con un ministro d’area a rappresentare le istanze di Sel. Una mediazione capace di tenere assieme il partito e allontanare lo spettro di una scissione.


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