“La soluzione è il reddito minimo”

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Carte alla mano – alcune frutto dell’ultima com­mis­sione gover­na­tiva, pra­ti­ca­mente fal­lita, di cui ha fatto parte chia­mata dal mini­stro Gio­van­nini – Chiara Sara­ceno non ha dubbi: l’unica solu­zione per la povertà ita­liana sarebbe una grande riforma che intro­duca il red­dito minimo e ridi­se­gni in modo serio, alla scan­di­nava o alla tede­sca, il sistema degli ammor­tiz­za­tori sociali, cassa inte­gra­zione inclusa. «Fuori dalle stesse resi­stenze dei sin­da­cati, che pure oggi al red­dito minimo si stanno aprendo, e fuori dalle pro­te­ste che ogni pic­colo grup­petto, quando acqui­si­sce un pez­zet­tino di wel­fare, anche se è imper­fetto, lo difende con le unghie e con i denti a danno dell’intera col­let­ti­vità». Paure auto­con­ser­va­tive sicu­ra­mente indotte dalla crisi, ma che non ci fanno progredire.

Lei parla di un sistema bloc­cato, e la com­mis­sione sul Sia – il soste­gno di inclu­sione attiva – messa su da Gio­van­nini, che pro­met­teva almeno un avvio del red­dito minimo, è naufragata.

Il Sia non è pas­sato, io ritengo pur­troppo quell’esperienza fal­lita, anche se al mini­stero la vedono diver­sa­mente. La nuova carta acqui­sti si spe­ri­menta solo in alcuni comuni, men­tre ci è stato impos­si­bile assor­bire quella vec­chia nella attuale, per il veto posto da chi ne bene­fi­cia. Siamo il paese delle con­trad­di­zioni: ci si dice che non ci sono soldi per il red­dito minimo, che nella sua forma ini­ziale sarebbe costato 1,5 miliardi, e poi si tro­vano risorse più alte per il pastic­cio dell’Imu. E per­ché le ere­dità sotto i 300 mila euro non sono tassate?

Il red­dito minimo potrebbe aiu­tare le cate­go­rie oggi escluse dai sus­sidi come gli ammor­tiz­za­tori sociali?

Sarebbe l’unica solu­zione, anche per­ché con il pro­lun­garsi della crisi abbiamo notato che gli stru­menti clas­sici non fun­zio­nano più. Fino al 2010 nono­stante la disoc­cu­pa­zione aumen­tasse, gli indi­ca­tori di povertà erano piut­to­sto sta­bili: e que­sto gra­zie agli stru­menti di soste­gno al red­dito come la cassa, e alla soli­da­rietà fami­liare, molti hanno dato fondo ai risparmi. Poi, dal 2011, c’è stato un improv­viso impen­narsi dei dati rela­tivi al biso­gno e all’indigenza: e que­sto mostra che in una società come la nostra, gli stru­menti attuali, iper-frammentati, non bastano più.

Ser­vi­rebbe una riforma a suo parere?

Ci vor­rebbe una riforma di largo respiro, con due pila­stri fon­da­men­tali ben distinti. Ok alla cassa inte­gra­zione, come all’indennità di disoc­cu­pa­zione. No alla cassa in deroga e discu­tiamo dell’opportunità della straor­di­na­ria: ma devono essere stru­menti soste­nuti da imprese e lavoro, ed estesi a chiun­que lavori. Il secondo pila­stro invece, soste­nuto dalla fisca­lità gene­rale, dovrebbe essere il red­dito minimo.

Nel caso di Elec­tro­lux si chiede alla fisca­lità gene­rale di soste­nere la decon­tri­bu­zione dei con­tratti di soli­da­rietà. Un com­pro­messo per non tagliare i salari.

È impor­tante non tagliare i salari, ma io sono in gene­rale con­tra­ria, lo ripeto, a que­sto sistema fram­men­tato di ammor­tiz­za­tori, che poi prende i soldi pub­blici per tap­pare i buchi, a seconda delle emer­genze. Oggi può essere la cassa in deroga, domani gli eso­dati, dopo­do­mani appunto i lavo­ra­tori di Elec­tro­lux: tutte per­sone da tute­lare cer­ta­mente, ma poi io posso pro­te­stare per­ché quelli sono stati sal­vati e io invece no. E allora, fac­ciamo una grande riforma che strut­tu­ral­mente tenga den­tro tutti.

Quanto dovrebbe essere, ideal­mente, un red­dito minimo dignitoso?

Non è facile rispon­dere, noi stessi abbiamo discusso a lungo. Dipende ad esem­pio se vivi al nord o al sud, se in una pic­cola o grande città. In Ger­ma­nia ad esem­pio è sui 350–400 euro, ma poi hai sus­sidi sugli affitti o una casa popo­lare. Da noi, attual­mente, l’inabilità per gli inva­lidi civili è di 275 euro al mese; l’assegno sociale per gli over 65 è di 631 euro, e la nuova social card va dai 231 ai 404 euro, a seconda dei com­po­nenti fami­liari. Certo non sono cifre su cui puoi scia­lare: ma tanto cam­bie­rebbe se si assi­cu­rasse l’alloggio, e soprat­tutto la qua­lità dei ser­vizi e del welfare.

Il rap­porto Istat evi­den­zia che siamo ormai arri­vati alla pres­sione fiscale sve­dese, ma con ser­vizi imparagonabili.

Ma infatti l’assurdo è che negli ultimi anni la pres­sione fiscale è aumen­tata, men­tre i ser­vizi sono peg­gio­rati, soprat­tutto a causa dei tagli e dei vin­coli posti dal patto di sta­bi­lità. Quello che pesa soprat­tutto nel nostro sistema fiscale sono due fat­tori: il primo è l’alto livello dell’evasione, che costringe gli one­sti a pagare per tutti; il secondo è il debito pub­blico. Senza con­tare ovvia­mente la cor­ru­zione: ma almeno in pas­sato, veni­vano assi­cu­rati anche i ser­vizi. Oggi mi pare che i fatti di cro­naca testi­mo­nino che le maz­zette girano ancora, ma a pagare i vin­coli di spesa sono solo i cit­ta­dini, che si vedono tagliare i servizi.

La ripresa, la «luce in fondo al tun­nel» di cui parla il governo, lei la vede?

Ma magari una pic­cola ripresa è pure comin­ciata, e forse l’economia len­ta­mente si ripren­derà, anche se al momento non sem­bra ai livelli degli altri paesi. Il pro­blema vero è che, come prima della crisi vive­vamo in una situa­zione di cre­scita dell’occupazione senza cre­scita eco­no­mica, nel pros­simo futuro, allo stesso modo, potremo assi­stere alla cre­scita dell’economia senza nuova occu­pa­zione. E a farne le spese saranno tutti coloro che hanno perso il lavoro in que­sti anni, soprat­tutto i gio­vani di bassa qua­li­fica o gli over 45 espulsi dal mer­cato, privi di nuove com­pe­tenze: per loro il lavoro che è andato via, non tor­nerà più.
Quale solu­zione vede? Emigrare?

Credo che dovremmo creare un futuro per tutte que­ste per­sone, che non può stare solo nei sus­sidi. Inve­stiamo ora per creare lavoro, dopo che sarà pas­sata la bufera.


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