“Entro un anno nuovo boom dell’eroina. Ma intanto tagliano i servizi”

“Entro un anno nuovo boom dell’eroina. Ma intanto tagliano i servizi”

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TORINO – Sette morti per overdose, tra Torino e Roma, nell’arco di una settimana e una crescita dei consumatori in tutto il paese. Così, anche in Italia, l’eroina torna a far parlare di sé. Anche se questi, in realtà, potrebbero essere solo i prodromi di un ritorno in scena che nel nostro paese sarebbe ancora di là da venire. Ad affermarlo è Massimo Barra, fondatore di Villa Maraini, comunità terapeutica che dal 1976 si occupa di cura, prevenzione e riduzione del danno.

“Sono quasi certo – spiega Barra – che di qui a un anno assisteremo a un massiccio ritorno dell’eroina. In questi anni, per quanto mi riguarda, è divenuto chiaro che gli stupefacenti seguono un andamento ciclico, che vive di corsi e ricorsi storici: dopo un periodo in cui predominano sostanze eccitanti, il mercato si orienta di nuovo su quelle calmanti o depressive. In America il problema è ormai palese, dal momento che a gennaio anche il governatore del Vermont, uno piccolo stato agricolo, ha dedicato l’intero discorso annuale all’emergenza eroina, definita come ‘una questione di priorità assoluta’”.

Negli ultimi cinque anni, in effetti, il numero dei consumatori negli States sarebbe più che raddoppiato: a rivelarlo è un recente un rapporto della Substance Abuse and Mental Health Services Administration, che li ha quantificati in poco meno di 700mila. Un’emergenza che, secondo Barra, “ha appena iniziato a varcare l’oceano: ci vorrà ancora un po’ di tempo prima che anche da noi esploda in tutta la sua gravità”. Dichiarazioni che cozzano con l’assunto generalizzato secondo cui la “roba” sarebbe ormai debellata, sorpassata dalle mode e dai tempi. “In Italia – prosegue Barra – si è avuta troppa fretta di fare il funerale all’eroina. Ma è accaduto anche per una questione di comodo, continuando così a disattendere la legge n. 309/90; che con tutti i suoi limiti diceva due cose importantissime: che i centri antidroga dovevamo rimanere aperti ogni giorno della settimana, senza interruzioni; e che i tossicodipendenti avevano diritto a scegliere in quale centro e da quale medico curarsi”.

Nei giorni scorsi, subito dopo i tre decessi avvenuti a Roma, proprio da Villa Maraini è partito un comunicato al vetriolo, che accusa la politica di una miopia che avrebbe portato al taglio del 30 per cento sulle sovvenzioni. “Oggi – continua Barra – siamo costretti ad andare avanti pagando gli stipendi con mesi di ritardo. In strada i servizi sono rimasti invariati, perché se ne chiudessimo alcuni, come le unità mobili, succederebbe un putiferio; ma i nostri operatori pagano un prezzo ingiusto. Nel frattempo, i Sert sono costretti a respingere ogni utente che non appartiene alle loro circoscrizioni. Questo stato di cose non è ancora sostenibile a lungo”.

E anche il mondo dei Sert, in effetti, sembra fare eco alle posizioni di Barra, lamentando carenza di fondi e personale. “Negli ultimi anni – spiega Alfio Lucchini, portavoce ed presidente uscente di Federserd, la Federazione italiana dei dipartimenti e dei servizi pubblici per le tossicodipendenze – il numero di utenti in carico alle nostre strutture è aumentato di 100 mila unità. Abbiamo 230 mila utenti in tutto il paese, 100 mila dei quali in cura per un problema grave da eroina. E si stima che ce ne siano altri 250 mila che restano fuori dai servizi per le più svariate ragioni: a volte sono impossibilitati a entrarvi, oppure riescono a raggiungere un contorto equilibrio che gli permette di non oltrepassare quel punto di rottura dopo il quale, in genere, si cerca aiuto”.

Senza contare l’esercito dei nuovi utilizzatori, spesso molto giovani e orientati a nuovi stili di consumo, che l’eroina, almeno nelle prime fasi, preferiscono sniffarla o fumarla. Ma che in molto casi, secondo Lucchini “finiscono comunque per ricorrere al buco”. Consumatori cronici, nuovi eroinomani, pluriconsumatori: una galassia di soggetti che richiederebbe un ampio ventaglio di approcci, dalla prevenzione alla riduzione del danno; e che va invece a scontrarsi con le parole d’ordine dell’Italia in crisi: austerity, rientro sanitario, riduzione della spesa pubblica.

“Oggi – spiega Lucchini – stiamo scontando due fenomeni che si sono sommati negli anni; in primis, la progressiva diminuzione del fondo sociale, che veniva gestito dai Comuni e destinato a strutture che svolgevano una importante funzione di primo contatto con i tossicodipendenti. E che ora sono in grande difficoltà: penso, ad esempio, ai Drop in o ai servizi a bassa soglia, di prossimità, o di vicinanza. Poi è arrivata la spending review, che ha colpito le strutture a orientamento sanitario, come i Sert, che perdono fondi e personale, e sono costrette a lavorare sempre più sull’emergenza”

“In realtà – prosegue – siamo di fronte a una serie di trasformazioni che richiederebbero studio, attenzione, nuove modalità di intervento. Oggi ad esempio c’è un grande allarme sul gioco d’azzardo patologico, che ha prepotentemente occupato l’agenda mediatica. Ma in concreto si parla di 7 mila soggetti, mentre le dipendenze classiche, quelle da alcol e sostanze, riguardano almeno 250 mila utenti in cura”. Il punto, secondo Lucchini “è che in questo modo siamo costretti a concentrarci solo sui sintomi, sulla cura. Mentre diventa sempre più chiaro che bisognerebbe andare alla radice di questi problemi, che è la società stessa. Viviamo in una struttura sociale che per la sua stessa conformazione porta le persone a dipendere: non a caso, il nostro ultimo congresso era intitolato ‘La società dipendente’: in quell’occasione, Zygmunt Bauman ha illustrato molto bene che è questo il filo conduttore che lega tra loro tutte le varie forme di dipendenza”

“Se non si capisce questo – conclude Lucchini – è inutile continuare ad agire sulle varie emergenze, spesso dettate dai media più che dai numeri: oggi è il gioco d’azzardo, domani tornerà l’eroina e tra un anno sarà il turno degli smart media. Ma è alla radice che bisogna andare, e senza risorse non è possibile farlo. Il problema è che i costi sociali di tutto questo, in un futuro non troppo lontano, supereranno ampiamente quello che oggi si sta risparmiando”. (ams)

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