Gli inutili sottomarini della Grecia

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Nei cantieri navali di Skaramangas, ad Atene, due enormi sottomarini Papanikolis U214, 65 metri di lunghezza e 1.600 tonnellate di peso, sono fermi da mesi a prendere polvere. Sono costati 4 miliardi di euro al governo greco, la cui marina militare non ha mai lanciato un siluro negli ultimi settant’anni. L’ultima tranche del pagamento alla Thyssen-Krupp che li ha prodotti è stata approvata dal parlamento greco nel 2010, proprio mentre nel paese cominciava la più grave crisi economica della sua storia.

Alla fine di gennaio, il direttore dei cantieri navali Skaramangas e un collaboratore dell’ex ministro della difesa sono stati arrestati con l’accusa di essere stati corrotti per dare il via libera all’acquisto dei sottomarini. Come se non bastasse l’acquisto di un paio di sottomarini inutili, c’è anche il fatto che gli U214 sono stati consegnati incompleti, con molti sistemi ancora non funzionanti e con la pericolosa tendenza a diventare instabili non appena il mare diventa agitato.

Quella dei sottomarini è soltanto una delle numerose storie di inefficienza e corruzione negli acquisti del ministero Della difesa greco che ha raccontato in un lungo articolo il New York Times. In realtà, spiega il quotidiano, l’intero sistema politico greco era notoriamente molto corrotto e di certo il ministero della Difesa non era l’unico a spendere grosse cifre in programmi bizzarri. Ma per le società straniere interessate a corrompere politici greci per piazzare i loro prodotti, poche aree della pubblica amministrazione erano appetibili come l’esercito, e questo per almeno un paio di motivi.

Gli acquisti di armamenti sono in genere programmi molto costosi e di lunga durata: ottenere una commessa militare può garantire a una società la sopravvivenza per molti anni. Il mercato degli armamenti, inoltre, è la combinazione di due tipi di mercato che gli economisti giudicano molto inefficienti: un cosiddetto “monopsonio” (un mercato con un solo acquirente, lo stato) e un oligopolio (un mercato con pochi produttori, in questo caso, le poche aziende al mondo in grado di produrre sottomarini e carri armati). Gli esperti del campo difficilmente si stupiscono degli inevitabili ritardi, problemi e aumenti di costo dei programmi di armamenti (come nei casi del programma F-35 in cui è coinvolta anche l’Italia o dell’assurda storia delle uniformi delle forze armate americane).

In Grecia, queste disfunzioni sono state ancora di più accentuate dal cosiddetto incidente di Imia/Kardak del 1996. All’epoca Grecia e Turchia giunsero quasi allo scontro per una complicata questione di confine che riguardava un’isoletta disabitata dell’Egeo (Imia in greco, Kardak secondo i turchi). Nei dieci anni successivi all’incidente – durante il quale non è mai stato chiarito se un elicottero greco si schiantò o venne abbattuto dai turchi – la Grecia ha speso circa 68 miliardi di euro in armamenti, quasi tutto denaro preso in prestito.

La responsabilità più grande in questa serie di spese folli, sostiene Constantinos Fraggos, un esperto di questioni militari, è «del sistema politico greco, che era marcio». Un esempio che spiega bene il livello di corruzione raggiunto dall’amministrazione militare greca è la storia di Antonis Kantas, ex ufficiale e dipendente del ministero della Difesa arrestato di recente per corruzione e riciclaggio. Nel 2001, Kantas si espresse in maniera contraria all’acquisto di alcuni carri armati prodotti in Germania dalla Thyssen-Krupp. Kantas ha raccontato che, dopo che ebbe espresso il suo parere contrario, un emissario della società lo raggiunse nel suo ufficio e gli lasciò una busta con 600 mila euro. All’epoca Kantas non aveva il potere di decidere più o meno niente da solo. Il sistema però era così corrotto che anche un uomo di scarsa importanza come lui in cinque anni riuscì a mettere da parte l’equivalente di quasi quattordici milioni di euro in tangenti.

L’acquisto dei carri armati, alla fine, andò in porto. Il ministero della Difesa accettò di comprare per 2,3 miliardi di euro 170 nuovissimi carri armati Leopard 2A6 HEL, uno dei veicoli di questo tipo più moderni e costosi al mondo. Non si trattava dei primi carri armati comprati dalla Grecia e nemmeno di un nuovo modello destinato a sostituire quelli obsoleti. All’epoca la Grecia possedeva già circa duecento carri armati Leopard 2. Nel 2010, al momento della consegna, si trovò ad avere nelle sue forze armate 353 Leopard 2. Per fare un paragone, in Italia sono operativi duecento carri armati Ariete, più o meno equivalenti (anche se meno costosi) del Leopard 2. La Germania ha attualmente operativi 225 Leopard 2, nonostante abbia un PIL che è più di dieci volte quello della Grecia.

Ma non è finita, racconta Fraggos. Nella remota possibilità che la Grecia si fosse trovata costretta ad usare la sua gigantesca armata corazzata, i nuovi carri armati non sarebbe comunque stati utili a granché, visto che il ministero non aveva acquistato munizioni per armarli. La Krauss-Maffei, che produce il Leopard 2, nega di aver mai pagato tangenti a dipendenti del ministero della Difesa greco.

Secondo Fraggos, in questa storia incredibile c’è anche una grossa responsabilità da parte dei produttori di armi, che hanno corrotto i funzionari di un paese sull’orlo della bancarotta per spingerli a spendere miliardi di euro in armamenti inutili. In una specie di circolo vizioso, mentre i produttori di armi di Russia, Francia e Germania vendevano armi alla Grecia, le banche di mezza Europa prestavano al suo governo il denaro necessario per fare quegli acquisti. Secondo la stampa greca, negli ultimi quindici anni circa 2,7 miliardi in tangenti sono stati pagati dai produttori di armi ai funzionari del ministero della Difesa greco.

Kantas, che oggi ha 72 anni, ha raccontato agli investigatori di essere rimasto senza parole, a un certo punto, davanti alle cifre che gli venivano offerte. Un rappresentante di un’industria militare gli offrì 3 milioni di euro per favorire l’acquisto di una partita di missili anti-carro. Kantas all’inizio non riusciva a credere a quell’offerta, ma dopo poche settimane la prima parte del pagamento gli venne versata su alcuni conti in Svizzera e gli vennero consegnati 700 mila euro in contanti.

Secondo Fraggos e altri esperti citati dal New York Times, il gruppo di investigatori che si sta occupando di questo caso ha grosse difficoltà a proseguire le indagini. I fondi sono stati tagliati e i quattro magistrati che seguono il caso lavorano in un magazzino senza finestre che è stato convertito in ufficio. Hanno dovuto pagare il nuovo impianto elettrico con i loro soldi.


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