Grillo, il giorno della rottura La Rete espelle 4 dissidenti
Emanuele Buzzi, Corriere della Sera
MILANO — L’epilogo scritto nei numeri. I senatori Cinque Stelle Lorenzo Battista, Fabrizio Bocchino, Francesco Campanella e Luis Alberto Orellana sono stati espulsi dal Movimento. A deciderlo gli iscritti al blog di Beppe Grillo: 29.883 a favore dell’allontanamento, 13.485 contrari. Una scelta molto discussa, proprio a partire dagli attivisti, che hanno inondato il sito del leader di commenti. Oltre 2.600 in meno di dieci ore. Una scelta che divide la base (quasi un votante su tre si schiera con i dissidenti) e gli stessi parlamentari a Roma, che — dopo l’assemblea fiume di martedì notte — sono ancora protagonisti di una giornata molto concitata. Perché l’espulsione dei quattro aperturisti non passerà indolore e si profilano già altri addii (volontari) e la nascita a Palazzo Madama di un nuovo gruppo parlamentare composto dai fuoriusciti. Almeno cinque sono già annunciati, ma c’è anche chi dice di volersi consultare con la sua base.
Una giornata complessa per i pentastellati, cominciata con l’annuncio di Beppe Grillo della votazione per l’espulsione. Con un video molto chiaro, che evoca i casi Favia-Salsi e la vicenda Gambaro, il capo politico attacca i dissidenti: «A me dispiace, perché in fondo non c’è niente di drammatico, però non sono più in sintonia con il Movimento». E poi: «Si terranno tutto lo stipendio, 20.000 euro al mese fanno comodo, capisco anche quello. Solo, non capisco le motivazioni ideologiche: “Grillo non si fa mai vedere, Grillo dall’alto, il blog di Casaleggio”. Queste sono cazzate, non sono motivazioni ideologiche». Le motivazioni dell’epurazione, indica il leader implicitamente, sono altrove: «Non ci possiamo permettere ancora di parlare di gente che bisbiglia ai giornali, dopo 5 minuti che hai parlato sei sul giornale con il titolone».
Il duello diventa video. I dissidenti postano la replica su YouTube e Facebook: un filmato, esattamente come il leader. In tre minuti contrattaccano e espongono la loro versione dei fatti. Orellana sottolinea che i «gruppi territoriali non ci hanno mai sfiduciati con un voto assembleare»». Francesco Campanella obietta: «Siamo il Movimento della democrazia diretta e non possiamo neanche dire che qualcosa poteva essere fatta meglio, ma stiamo scherzando?». Interviene nella disputa anche Romolo Martelloni, accusato da alcuni esponenti pentastellati di aver dato una svolta negativa, anche per via del suo passato nella Lega, alla comunicazione dei dissidenti: «Che s’aspettavano? Che asciugavo l’acqua sugli scogli?» ironizza. E commenta: «Se so fare il mestiere è un merito, non un demerito». Per Claudio Messora, capo dello staff Cinque Stelle al Senato, la presenza di Martelloni «conferma che c’era una comunicazione autonoma e organizzata in segno di dissenso».
Lo scontro da virtuale diventa reale e si sposta nei Palazzi. Riunioni, pianti, addirittura inviti ad interrompere il voto. Discorso impensabile per Grillo e Casaleggio decisi ad andare avanti, consci delle possibili perdite o defezioni di alcuni «soldati», come qualcuno chiama gli eletti pentastellati. Eventualità che presto si trasforma in certezza. Nel profluvio di dichiarazioni, arrivano i primi segnali di addio. In cinque al Senato (Alessandra Bencini, Laura Bignami, Monica Casaletto, Maria Mussini e Maurizio Romani) annunciano le dimissioni. Cristina De Pietro dichiara che discuterà dell’eventualità con la «sua» base, in Liguria. Alla Camera Alessio Tacconi, tra più critici in congiunta, parla di 5-6 possibili transfughi. I nomi di cui si parla sono quelli di Walter Rizzetto, Mimmo Pisano, Ivan Catalano e Paola Pinna.
Qualcuno evoca lo spettro della scissione, della creazione di una costola autonoma di ex pentastellati: un gruppo che comprenderebbe anche esponenti ora in altre formazioni politiche. Suggestioni, per ora. «Quello che rimane è molta amarezza», chiosa Lorenzo Battista a fine giornata, mentre si diffonde la voce di due riunioni parallele. «Sono dispiaciuto da ciò che Grillo ha scritto sul blog: ha condizionato il voto. E trovo ripugnante che abbia detto che lo facciamo per soldi».
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