I nuovi cittadini in Cina

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Xu Zhiyong, avvo­cato pechi­nese di 40 anni, fon­da­tore del Movi­mento nuovi cit­ta­dini è stato con­dan­nato a 4 anni di reclu­sione da un tri­bu­nale di Pechino. La sua sto­ria e quelle di altre per­sone che l’hanno accom­pa­gnato e soste­nuto nella sua bat­ta­glia rac­conta diversi aspetti della Cina con­tem­po­ra­nea, spe­cie riguardo quella parte del paese che costi­tui­sce l’ossatura di una nascente società civile.

La recente piega delle vite di Xu e di un altro atti­vi­sta arre­stato, Wang Gon­quan, incro­cia le tra­iet­to­rie dell’attuale anima di quella che spesso viene cata­lo­gata come «dis­si­denza», con­fon­dendo non poco i con­torni di un feno­meno che, piac­cia o meno, è intrin­se­ca­mente «cinese». Signi­fica che il dis­senso in Cina, quello vero, e con esso l’opposizione alla cen­tra­lità e uni­cità poli­tica del Par­tito Comu­ni­sta, prende strade real­mente peri­co­lose per la lea­der­ship locale, quando si mani­fe­sta attra­verso parole d’ordine capaci di fare brec­cia tra la popo­la­zione in modo natu­rale e quando fini­sce per essere soste­nuto da un’élite eco­no­mica oltre che intel­let­tuale, che chiede — forse — più spa­zio e potere all’interno delle logi­che che rego­lano la poli­tica nazio­nale. Quello che fa paura al Par­tito Comu­ni­sta non è l’intellettuale soli­ta­rio, l’eroe, l’immaginario «dis­si­dente» costruito dai media occi­den­tali, che cri­tica e sen­ten­zia, ma non è in grado di aggregare.

Chi fa ter­rore al potere in Cina, è un mix di soldi, a rap­pre­sen­tare un con­tro potere eco­no­mico ed espo­nenti della società civile, avvo­cati, scrit­tori, pro­fes­sori, in grado di chie­dere a gran voce uno «stato di diritto», senza pon­ti­fi­care cam­bia­menti epo­cali per lo Stato cinese, ma in grado di fare pro­prio un sen­ti­mento comune. E costi­tuirsi come poten­ziale alter­na­tiva al Par­tito. Tempo fa un docente di una nota Uni­ver­sità pechi­nese, nel mezzo di una discus­sione riguardo le modi­fi­che alla Costi­tu­zione, invitò ad osser­vare quanto suc­ce­deva nel mondo delle società di bene­fi­cenza; secondo il pro­fes­sore all’interno di quell’universo si sta­rebbe for­mando un nucleo poli­tico forte, deter­mi­nato, attra­verso il quale alcuni miliar­dari cinesi pro­ve­reb­bero a infa­sti­dire il Par­tito Comu­ni­sta. Fino al 2004, i pri­vati non pote­vano entrare in società di bene­fi­cenza; da allora arrivò il via libera e ad oggi ci sono 2100 isti­tuti pri­vati in Cina.

E da allora il con­trollo del Par­tito sulle atti­vità di cha­rity è aumen­tato. In que­sto nuovo ambito – secondo molti osser­va­tori – si anni­de­rebbe la poten­ziale alleanza tra facol­tosi e intel­let­tuali libe­ral cinesi, i cui spi­ra­gli si allar­ghe­reb­bero infine a pro­getti più defi­niti, da un punto di vista politico.

La sto­ria di Wang

Il miliar­da­rio cinese Wang Gon­g­quan è stato arre­stato lo scorso novem­bre. Il reato: assem­bra­mento di per­sone fina­liz­zato al disturbo dell’ordine pub­blico. In pre­ce­denza aveva fon­dato tanti imperi eco­no­mici, che lo ave­vano fatto assur­gere al pan­theon degli uomini più ric­chi del paese. Patri­mo­nio matu­rato gra­zie alla sua atti­vità indu­striale nel ramo del real estate e gra­zie, si dice, a inve­sti­menti ocu­lati a suo tempo nella Sili­con Val­ley. Ad occhio e croce, Wang, sem­bre­rebbe il tipico miliar­da­rio pro­dotto dal mira­colo cinese.

Dire real estate in Cina, signi­fica rife­rirsi a costru­zioni, espro­pria­zione di ter­reni, riva­lu­ta­zione di zone geo­gra­fi­che, urba­niz­za­zione e maz­zette, tante. Signi­fica avere i con­tatti giu­sti con chi ha infor­ma­zioni basi­lari su quel mer­cato. In Cina, si fanno soldi nell’immobiliare, solo se si hanno agganci poli­tici. Ma Wang – 52 anni — è par­ti­co­lare, ha un afflato demo­cra­tico, o forse – potreb­bero soste­nere i suoi detrat­tori — vuole sem­pli­ce­mente con­tare di più poli­ti­ca­mente. Nel 2011 si fa notare per­ché par­te­cipa alle ini­zia­tive con­tro le «black jail» (luo­ghi ano­nimi nei cen­tri cit­ta­dini dove ven­gono rin­chiusi molti dei «peti­zio­ni­sti» che giun­gono a Pechino per denun­ciare un torto subito nella città da cui pro­ven­gono). Poi si dice che abbia dato le dimis­sioni e si sia messo a stu­diare poli­tica e bud­di­smo. Infine, ha incon­trato Xu.

La sto­ria di Xu

L’avvocato Xu Zhiyong, è stato arre­stato lo scorso luglio. Il reato: assem­bra­mento di per­sone fina­liz­zato al disturbo dell’ordine pub­blico. Qua­ran­tenne, già noto per le sue atti­vità a favore dei diritti civili, ha fon­dato poco tempo (nel 2012) fa il Movi­mento Nuovi Cit­ta­dini. Attra­verso que­sto stru­mento ha saputo rac­co­gliere – soprat­tutto in rete – molto seguito. La richie­sta prin­ci­pale del Movi­mento nei con­fronti del Par­tito Comu­ni­sta è stata sem­pre chiara: si chiede che ven­gano resi pub­blici i patri­moni eco­no­mici dei fun­zio­nari cinesi. Una richie­sta di tra­spa­renza che ha saputo fare leva sulla voglia dei cinesi di vedere dav­vero stron­cata la cor­ru­zione dei suoi politici.

Arre­stato, Xu nell’agosto scorso fece par­lare di sé in Cina e non solo, per­ché fu capace di fare uscire dalla pri­gione un video, nel quale rilan­ciava la richie­sta e le prin­ci­pali moti­va­zioni della sua bat­ta­glia. In un appello straor­di­na­ria­mente empa­tico, come quello che avrebbe voluto leg­gere durante il suo pro­cesso, Xu ricor­dava le ragioni del Movi­mento, invi­tando tutti i suoi alleati a con­ti­nuare nella lotta. Alcuni che lo hanno sup­por­tato sono finiti male. Gior­na­li­sti, atti­vi­sti, sono stati arre­stati, fer­mati o inti­mi­diti per averlo aiu­tato e per aver chie­sto a gran voce la sua libe­ra­zione. Tra di loro, è stato arre­stato anche Wang.

Il pro­cesso

Wang avrebbe finan­ziato e soste­nuto le atti­vità di Xu e del Movi­mento Nuovi Cit­ta­dini. E’ un’accusa che durante il pro­cesso, Wang avrebbe con­fer­mato. Si è trat­tato di una con­fes­sione estorta dal tri­bu­nale, che potrebbe con­sen­tire al miliar­da­rio filan­tropo di cavar­sela con una con­danna minore rispetto a Xu, con­dan­nato a quat­tro anni. Wang avrebbe ammesso il soste­gno eco­no­mico a Xu e secondo i giu­dici avrebbe anche comin­ciato un serio periodo di rifles­sione sul suo ope­rato. Chiaro che la sua con­fes­sione e con­tem­po­ra­nea scon­fes­sione delle sue recenti atti­vità, por­te­rebbe ad un nuovo caso di un magnate impe­gnato nelle lotte civili, che di fronte all’insistenza della «giu­sti­zia» cinese, con­fessa i pro­pri reati e chiede per­dono al potere che in pre­ce­denza com­bat­teva. Ulti­ma­mente il Par­tito ha optato per un ritorno alle pub­bli­che con­fes­sioni e con esse alla «rie­du­ca­zione» del pre­sunto col­pe­vole, come ai tempi della Rivo­lu­zione Culturale.

E’ capi­tato anche con alcune star di Weibo, il Twit­ter locale: per­sone con molto seguito, che hanno finito per dif­fon­dere sulla rete mes­saggi con­si­de­rati dan­nosi dai solerti cen­sori. Alcuni sono stati arre­stati, con accuse varie, come ad esem­pio quello di essere coin­volti in casi di pro­sti­tu­zione. Poi sono stati presi, messi davanti ad una tele­ca­mera e costretti a con­fes­sare la pro­pria colpa e la pro­pria abiura in diretta televisiva.

Xu non ha mol­lato, per niente, in attesa della sen­tenza. Durante il pro­cesso è stato in silen­zio, ha pro­vato a leg­gere un docu­mento, ma è stato inter­rotto. La con­sueta abi­lità a far tra­pe­lare infor­ma­zioni dei cinesi, si è messa in moto e ben pre­sto il testo del suo inter­vento ha comin­ciato a girare nell’internet. Parole che hanno scosso il seguito del movi­mento e che pre­su­mi­bil­mente saranno capace di accen­dere altri cuori: «Quello che chie­diamo – ha scritto Xu — è che ogni cinese sia capace e in grado di com­por­tarsi come un cit­ta­dino (…) Signi­fica anche pren­dere sul serio le respon­sa­bi­lità che porta con sé il con­cetto di cit­ta­di­nanza, a comin­ciare dalla con­sa­pe­vo­lezza che la Cina appar­tiene a tutti e a cia­scuno di noi e di accet­tare che spetta a noi difen­dere e defi­nire i con­fini della coscienza e della giu­sti­zia. Quello che il Movi­mento Nuovi Cit­ta­dini chiede è lo spi­rito civico che con­si­ste di libertà, giu­sti­zia e amore».

Si tratta del primo movi­mento sorto negli ultimi anni che si è pro­po­sto come una reale alter­na­tiva al Par­tito: per que­sto è mas­sa­crato dalla repres­sione. Atti­vi­sti pre­senti al pro­cesso sono stati fer­mati, alcuni gior­na­li­sti sono stati impor­tu­nati, come sem­pre accade in que­sto genere di occa­sioni, dalla poli­zia locale.

Una poli­ziotta che avrebbe soste­nuto il movi­mento è stata a sua volta arre­stata. Signi­fica che Xu e il suo seguito hanno colto nel segno, sapendo sfrut­tare una debo­lezza del sistema: la cla­mo­rosa dif­fe­renza tra fun­zio­nari e per­sone comuni, per­fino appar­te­nenti ad una nascente classe media locale. E non è un caso che lo scan­dalo legato ai conti dei lea­der nei para­disi fiscali, sia venuto a galla pro­prio nel giorno in cui comin­ciava il pro­cesso a Xu. Qual­cuno, di sicuro, ad esem­pio i tanti cinesi che hanno col­la­bo­rato con il team inve­sti­ga­tivo inter­na­zio­nale, ha voluto che tutto uscisse pro­prio il giorno in cui Xu ricor­dava l’impegno pri­ma­rio del suo Movi­mento: sma­sche­rare i conti dei fun­zio­nari cinesi. E il suo scritto cir­cola in rete, dove pare sia stato letto da almeno 100mila per­sone, tag­gato con un nome che sa già di sto­ria: China Mani­fe­sto.


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