Il lavoro al centro della politica

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Il lavoro for­di­sta si è tra­sfe­rito in altre parti del mondo e ha lasciato in que­sta parte dell’Europa un mondo del lavoro di grandi disu­gua­glianze con un’ampia dif­fu­sione del lavoro pre­ca­rio e sot­to­pa­gato. Le poli­ti­che di auste­rità non favo­ri­scono cer­ta­mente un raf­for­za­mento delle con­di­zioni dei lavo­ra­tori e il con­te­sto strut­tu­rale non per­mette molte illu­sioni: l’atteso rilan­cio della pro­du­zione e della cre­scita non sarà accom­pa­gnata da una ripresa dell’occupazione.

Per fron­teg­giare que­sta pro­spet­tiva, la rispo­sta di poli­tica eco­no­mica di que­sti ultimi decenni si è con­cen­trata, secondo la visione neo­li­be­ri­sta domi­nante, sulle con­di­zioni del lavoro per ren­derlo fles­si­bile e poco pagato. Una visione che non con­si­dera inve­sti­menti, inno­va­zioni, qua­lità, sod­di­sfa­zione e pro­te­zione del lavoro buono come la base della com­pe­ti­ti­vità pre­senta risul­tati fal­li­men­tari: ridi­men­sio­na­mento dei livelli sala­riali e depe­ri­mento delle con­di­zioni di lavoro hanno messo in mora il ruolo del lavoro come stru­mento di pro­mo­zione dell’identità e dell’autovalorizzazione per­so­nale con l’effetto di accen­tuare la mar­gi­na­liz­za­zione delle fasce di popo­la­zione più deboli e fra­gili, rap­pre­sen­tate noto­ria­mente dalle donne e dai gio­vani nella loro ricerca di un primo lavoro.

Le dif­fi­coltà che, su que­sto ter­reno, si regi­strano in Ita­lia e in Europa sono ormai un pro­blema strut­tu­rale e le rispo­ste che sono state adot­tate, basate su cat­tive poli­ti­che dell’offerta, hanno inne­scato un cir­colo vizioso incen­trato sulla pre­ca­riz­za­zione e sulla subor­di­na­zione dei lavo­ra­tori alle scelte dell’accumulazione capi­ta­li­stica e della sua loca­liz­za­zione glo­bale. È neces­sa­ria una diversa poli­tica del lavoro che, soste­nuta a livello euro­peo, rie­qui­li­bri il rap­porto tra esi­genze del lavoro e inte­ressi del capi­tale. In par­ti­co­lare, diviene urgente in que­sta fase reces­siva, il ricorso a “piani del lavoro” che pro­muo­vano l’espansione dell’occupazione in pro­getti di valo­riz­za­zione delle risorse esi­stenti. In un mondo in cui la disoc­cu­pa­zione si accom­pa­gna a biso­gni essen­ziali insod­di­sfatti, sono essen­ziali inter­venti che col­mino que­sto scarto uti­liz­zando le risorse inu­ti­liz­zate per pro­durre beni e ser­vizi neces­sari alla pro­du­zione e al benes­sere col­let­tivo. Ma una poli­tica di sti­molo della domanda di lavoro non è suf­fi­ciente a risol­vere il pro­blema strut­tu­rale dell’inadeguata espan­sione dei posti di lavoro se l’innovazione tec­no­lo­gica e i vin­coli finan­ziari all’intervento pub­blico con­ti­nue­ranno a fre­nare la cre­scita del monte-ore lavoro. È per­tanto indif­fe­ri­bile un inter­vento sulla durata nor­male dell’orario di lavoro in modo da creare, attra­verso una redi­stri­bu­zione dei tempi di lavoro, il neces­sa­rio spa­zio per un aumento del numero degli occupati.

Rimet­tere al cen­tro della poli­tica eco­no­mica il lavoro — non solo come stru­mento per disporre di un red­dito ade­guato, ma come con­di­zione di valo­riz­za­zione sociale delle per­sone — è l’obiettivo cru­ciale se ci si pro­pone di garan­tire la sta­bi­lità sociale e il pro­gresso civile rispetto alla cre­scita economica.


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