Il sapore acre della fiducia

Loading

Micaela Bongi, il manifesto

 È un ini­zio che sem­bra una fine, quello che va in scena nell’aula di Mon­te­ci­to­rio nella lunga gior­nata della fidu­cia al governo. Ha il sapore di una festa venuta male dove pre­ci­pita un evento atteso e sem­pre riman­dato che quando arriva coglie di sor­presa e lascia un misto di com­mo­zione e disa­gio. Il lungo dibat­tito comin­cia alle 10 di mat­tina e pro­se­gue un po’ stan­ca­mente, con qual­che momento vivace ma scon­tato nei bat­ti­bec­chi tra 5 stelle e soprat­tutto Pd, ma anche con la pre­si­dente Laura Bol­drini, tanto per cam­biare. E le note di colore rega­late da Mat­teo Renzi, che mes­sag­gia a raf­fica come un ragaz­zino ma si spo­sta pure su tablet e pc — e viene richia­mato dalla pre­si­dente, «è richie­sta la sua atten­zione», quando invece di ascol­tare il leghi­sta Mas­si­mi­liano Fedriga lui sta chiac­chie­rando con Roberto Gia­chetti e poi deve com­pren­si­bil­mente andare in bagno e viene sospesa per qual­che minuto la seduta.

Il pre­si­dente del con­si­glio nel corso delle 6 ore e mezza di dibat­tito, come lui stesso sot­to­li­nea, prende appunti, è pieno di carte, docu­menti, scam­bia bigliet­tini forse senza cono­scere, vista la sua osten­tata estra­neità ai palazzi romani, i pre­ce­denti di mes­saggi anche un po’ imba­raz­zanti immor­ta­lati dagli zoom dei foto­grafi. Si pre­para alla replica sapendo che la fidu­cia è scon­tata qua­lun­que cosa lui dica e infatti dice molto poco, non aggiunge niente ai punti di pro­gramma un po’ eva­ne­scenti pro­po­sti il giorno prima in senato (salvo chia­rire che i taglio a due cifre del cuneo fiscale signi­fica di 10 miliardi, non del 10%), semi­nan­doli nel discorso a casac­cio. Cerca solo di essere più com­po­sto e rispet­toso dell’aula e degli «ono­re­voli» esal­tan­done il ruolo, a dispetto dell’antipolitica, senza le mani in tasca che gli hanno rim­pro­ve­rato in tanti, meno scan­zo­nato, ma non per que­sto più effi­cace. Anzi, almeno a palazzo Madama aveva in qual­che modo por­tato scan­dalo. Cita don Milani e Che­ster­ton invece di Gigliola Cin­quetti, bac­chetta ancora i 5 Stelle ricor­dano che sulla Mafia c’è poco da fare bat­tute fuori luogo ricor­dando la strage di Capaci e qui arriva, breve e discreto, un applauso non scon­tato. Quello di Enrico Letta.

Per­ché l’entusiasmo e l’eccitazione che ci si sarebbe aspet­tati da un par­tito che vede un suo espo­nente — in que­sto caso il suo segre­ta­rio — diven­tare pre­si­dente del con­si­glio, scar­seg­gia a dir poco. E viene sosti­tuito dal tri­buto agli ex. L’ex pre­si­dente del con­si­glio, che si è visto sca­ri­care dal suo par­tito e sfi­lare palazzo Chigi con una rapi­dità che lo ha anni­chi­lito. E l’ex segre­ta­rio, Pier Luigi Ber­sani. Che arriva nel pome­rig­gio — Ber­sani lo sapeva, Renzi no — prima della replica, sor­pren­dendo in Tran­sa­tlan­tico cro­ni­sti e depu­tati ai quali spiega che «sono venuto a votare la fidu­cia e abbrac­ciare Letta, ma ancora non è qui» e viene subito cir­con­dato, salu­tato calo­ro­sa­mente, accom­pa­gnato verso l’aula che al suo ingresso esplode in un applauso, tutti in piedi. Poi Letta arriva, si infila in aula attra­ver­sando il cor­ri­doio late­rale, non ha voglia di rispon­dere ai gior­na­li­sti, passa rigido davanti ai ban­chi del governo ed è spesso il gelo tra lui e Renzi, nem­meno un saluto, un cenno, solo a Gra­ziano Del­rio l’ex pre­mier allunga velo­ce­mente la mano poi va verso i ban­chi del Pd e incro­cia Ange­lino Alfano, andato lì per salu­tare Ber­sani, che gli dà una pacca sulla spalle. Sale verso il suo segre­ta­rio di quando era vice e i due si abbrac­ciano. L’aula si scalda, l’applauso si leva dai ban­chi del Pd e si fa sem­pre più rumo­roso, Ber­sani e Letta che si erano dati appun­ta­mento si alzano, anche Renzi che sulle prime imba­raz­zato aveva cer­cato scampo su un dispaly comin­cia a bat­tere le mani, si alza anche lui, fa alzare i mini­stri che ha accanto men­tre il pre­si­dente del con­si­glio disar­cio­nato dagli stessi che si stanno spel­lando le mani scende qual­che gra­dino e con­ti­nua a pren­dere applausi. Non si siede tra i ban­chi del Pd, del Pd non ha messo il nome nean­che nel suo nuovo pro­filo su twit­ter dov’è scritto solo @EnricoLetta, «depu­tato della repub­blica», va a sedersi ai ban­chi desti­nato agli espo­nenti del comi­tato dei 9 quando si dicute un prov­ve­di­mento, come a sot­to­li­neare che que­sto non è più il «suo» Pd, non si sa capi­sce più nem­meno che Pd è, quello che non si scalda per il segre­ta­rio Renzi (pochi applausi senza tra­sporto) e prova a rimar­gi­nare la ferita inferta.

E’ un Pd fra­stor­nato, diviso ma che, anche nella parte meno con­vinta, segue l’onda. E’ un Pd dove «siamo siamo abi­tuati a con­fron­tarci in modo non for­male e quando dob­biamo con­fron­tarci e discu­tere, liti­gare, lo fac­ciamo avendo il corag­gio di rico­no­scere che chi vince ha la mag­gio­ranza e chi resta sta nello stesso par­tito», dice Renzi nel suo inter­vento pro­vando a ripren­dere un po’ di pro­ta­go­ni­smo par­lando del suo par­tito invece che del suo governo, e «quando ho perso alle pri­ma­rie con Pier­luigi Ber­sani lui non mi ha espulso e il fatto che Ber­sani sia qui avendo idee diverse dalle mie su molte cose è un segno di stile e rispetto non per­so­nale ma poli­tico. Siamo il Pd», con Alfano che ascolta appog­giato a un banco della parte destra dell’emiciclo. Quando il pre­mier ha con­cluso l’intervento, Ber­sani esce, scam­bia ancora saluti, fa qual­che com­mento, dice che da oggi «gli ita­liani valu­te­ranno lo spread tra le parole e i fatti», e che certo, non è «l’umiltà» a carat­te­riz­zare il governo Renzi, ma «Mat­teo ha biso­gno d’aiuto e, quando saranno chiari alcuni obiet­tivi — aggiunge sar­ca­stico — io starò qui a fare il mio dovere per aiu­tarlo». Per­ché appunto, gli obiet­tivi non sono chia­ris­simi. se ne va senza dire niente Letta, insieme a Mau­ri­zio Lupi. Un tweet: «Dal 5 gen­naio spe­ravo di vivere que­sto momento. Ben­tor­nato Pierluigi!».

Anche Renzi rin­gra­zia l’ex segre­ta­rio con un tweet. Que­sta lunga gior­nata della fidu­cia, con 378 sì e 220 no e un aste­nuto, pro­ba­bil­mente non se l’era aspet­tata così. Adesso, aveva twit­tato in mat­ti­nata annun­ciando per oggi una sua visita a Tre­viso, «si ini­zia a lavo­rare sul serio».



Related Articles

Divorzio tra de Magistris e le toghe I giudici: le sue parole inaccettabili

Loading

Il sindaco de Magistris dopo la condanna: io resto, si dimettano i magistrati. Grasso: va sospeso dall’incarico

La Corte fissa la data: 24 gennaio

Loading

I giudici costituzionali costretti a bloccare una fuga in avanti: bisogna aspettare il giudizio di legittimità

Fumo a Bruxelles

Loading

Mario Dra­ghi è andato a Hel­sinki a spie­gare che la moneta unica è intrin­se­ca­mente parte di una «costru­zione poli­tica», e come tale neces­si­te­rebbe di «tra­sfe­ri­menti fiscali per­ma­nenti»

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment