La battaglia di Draghi per lo scudo salva-euro

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La prima via, difesa da una minoranza delle otto toghe (letteralmente) rosse del “secondo Senato” della Corte costituzionale in Germania, puntava sull’inammissibilità. Pura e semplice. Il ricorso firmato da 35mila tedeschi contro il programma della Bce che nel 2012 salvò Italia e Spagna da un probabilissimo default, secondo loro non andava neanche preso in considerazione. All’estremo opposto, guadagnava forza invece l’ipotesi più dinamitarda. L’idea di alcuni dei giudici costituzionali tedeschi era di accettare sì le Outright Monetary Transactions o Omt, gli acquisti di bond di Paesi in crisi che accettano un piano di riforme.

MA DI farlo piantando certi paletti con precisione chirurgica. Per esempio gli interventi non avrebbero comunque dovuto essere (potenzialmente) illimitati, anche se questo significava smantellare un architrave dell’impianto con cui nell’estate 2012 Mario Draghi contenne la crisi: il presidente della Bce allora disse che la banca centrale avrebbe fatto «whatever it takes» («qualunque cosa serva») per preservare l’euro, e proprio quel potenziale di fuoco senza limitazioni indusse i mercati a smettere di testare la resistenza del sistema.
Soprattutto, l’ipotesi che la Corte costituzionale di Karlsruhe determinasse ciò che un’istituzione europea non può fare, avrebbe creato un precedente capace di disgregare l’Unione. Così la Germania avrebbe affermato per vie legali il suo status di egemone, in diritto di decidere cosa è legale e cosa no per un organismo che appartiene anche a 220 milioni di cittadini fuori dai suoi confini. Oppure, quantomeno, Karlsruhe avrebbe stabilito il principio che un giudice nazionale può disfare in ogni momento la politica in vigore di un’istituzione europea. Da quel momento, ciascuna delle Corti costituzionali dei 28 Paesi europei avrebbe cercato di sfilare il pezzo d’Europa che più le dispiace. In modo informale il governo italiano aveva fatto notare alle altre capitali che la vicenda non sarebbe certo finita là: a quel punto la Commissione di Bruxelles avrebbe dovuto mettere la Germania in infrazione, poiché i suoi giudici di ultima istanza decidevano di testa propria sul diritto comunitario senza rimettersi ai loro colleghi della Corte europea.
Aveva tutta l’aria di una spirale simile a certe dispute in punta di diritto di un quarto di secolo fa fra Belgrado, Zagabria e Lubiana. Chiunque avesse vinto, l’euro e 65 anni di pace, apertura, integrazione e prosperità in Europa ne sarebbero usciti comunque a pezzi. La Corte tedesca, nella sua diffidenza verso la Bce e Mario Draghi,
non ha avuto il coraggio di andare così lontano.
Nasce così il compromesso che, almeno per la giornata di ieri, i mercati hanno salutato portando denaro sull’Italia e sugli altri Paesi di quella che chiamano «periferia ». Le toghe Karlsruhe si rimettono all’interpretazione preliminare dei colleghi della Corte europea di Lussemburgo, come fanno tutti gli altri quando devono applicare il diritto europeo. Per i giudici costituzionali tedeschi — e solo per loro nell’Unione — è la prima volta in quasi sessant’anni di storia comunitaria. Enzo Moavero, ministro delle Politiche europee (ed ex giudice di Lussemburgo), lo ha fatto notare per sottolineare come con ieri Karlsruhe rinunci al suo complesso di superiorità. Lì erano rimasti i soli giudici in Europa a non riconoscere una legge europea al di sopra della loro: ora lo fanno. Tira un sospiro di sollievo Draghi, che il giorno prima aveva evitato di spingere per un taglio dei tassi – necessario – per non irritare le toghe in seduta a un’ora di treno dal suo ufficio dell’Eurotower. Respira meglio anche il governo di Berlino che, contro la Bundesbank, aveva dato il suo sostegno ai piani della Bce più di un anno fa. Forse per questo in vena di complimenti, il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier ieri a Roma ha parlato del «miglioramento della situazione economica» in Italia e dei «passi politici intrapresi » dal Paese.
Resta da capire se anche il mondo oltre i codici del diritto ora seguirà. Il prezzo della provvisoria abdicazione di Karlsruhe alla Corte di Lussemburgo, sono parole
dei giudici di una durezza involontariamente incendiaria. Il loro giudizio sulla legittimità delle mosse di Draghi è quasi tutto negativo, in linea con le critiche a quella che ormai in Germania viene definita senza remore «politica monetaria all’italiana». I giudici parlano di «manifeste e significative trasgressioni di potere da parte di organi europei». Sostengono che i diritti degli elettori tedeschi sono «minati quando c’è un’usurpazione unilaterale di poteri» da parte della Bce. Secondo loro, il governo di Berlino avrebbe «l’obbligo» di sfidare l’Eurotower in giustizia.
Sono frasi che risuonano già nei mercati e nell’opinione pubblica tedesca. La Frankfurter Allgemeine Zeitung si chiede se le toghe prima o poi non dovranno «istruire il governo perché non partecipi» con il suo bilancio agli interventi della Bce, se mai se ne faranno. Per ora non è successo, ma Morgan Stanley esprime dubbi sulla reale vitalità del programma tirato fuori da Draghi nel 2012 per sedare la crisi. Anche dopo la giornata di ieri. Perché quel piano è uscito sì dal palazzo di Karlsruhe legalmente in piedi. Ma con addosso un’ombra politica – da morto che cammina.


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