Liberati i due operai italiani rapiti un anno fa in Libia

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ROMA — Stanchi, provati, con la barba lunga, il piumino arancione sopra ad un paio di jeans, non hanno detto una parola, appena un accenno di sorriso. Ma poi il saluto con la mano al loro arrivo a Ciampino, un gesto a significare che l’incubo era finito. Sono tornati a casa i due operai italiani rapiti in Libia lo scorso 17 gennaio, Francesco Scalise, 63 anni di Pianopoli, e Luciano Gallo, 52, di Feroleto Antico, entrambi i paesi in provincia di Catanzaro. «Provo grande gioia e soddisfazione per la liberazione di Scalise e di Gallo», ha detto il ministro degli Esteri Emma Bonino, la sua breve dichiarazione è stata inserita in un comunicato della Farnesina che fa riferimento ad un’operazione «frutto di attività congiunte tra autorità libiche e italiane e dell’azione di coordinamento svolta tra Unità di crisi, Ambasciata e altri organi dello Stato». La Bonino ha anche voluto ringraziare «tutte le donne e gli uomini della Farnesina e delle altre istituzioni che hanno consentito di giungere a un esito favorevole della vicenda in un contesto ambientale difficile».
Nessuno dice di più sulla liberazione dei due ostaggi, gli Esteri mantengono il riserbo anche se circola l’ipotesi che per risolvere positivamente questo sequestro a scopo di estorsione e liberare i due operai si sia dovuti ricorrere prima all’intervento dei Servizi segreti, poi ad un vero e proprio blitz armato.
Francesco e Luciano, dipendenti dell’azienda edile crotonese General Work di Petilia Policastro erano arrivati a Derna, in Cirenaica lo scorso 9 gennaio. In Libia si trovavano già da cinque mesi per lavorare alla costruzione di alcune strade. La Cirenaica è la regione orientale in cui imperversano le milizie islamiche da quando, due anni e mezzo fa, è stato cacciato Gheddafi. Neppure dieci giorni dopo, il 17 gennaio, il fratello di Scalise, anch’egli in Libia per lavoro, aveva presentato denuncia di scomparsa dei due operai all’ambasciata italiana di Tripoli. Scalise e Gallo stavano andando al cantiere a bordo di due mezzi pesanti ma al lavoro non erano mai arrivati e i mezzi erano poi stati ritrovati abbandonati. A sequestrarli, probabilmente, un commando di uomini armati nei pressi del villaggio di Martuba, tra Derna e Tobruk.
In questi venti giorni si è lavorato in silenzio per ottenere la liberazione dei due operai calabresi. In contrada Buttafuoco, a Feroleto Antico, la famiglia di Luciano Gallo non ha ancora parlato con il loro familiare. La moglie risponde euforica al telefono a parenti ed amici mentre i due figli Giuseppe e Vincenzo hanno gli occhi puntati sui telegiornali. La figlia Maria, la più piccola, 9 anni, scrive su un foglio di cartone la scritta «Bentornato» e la colora prima di sistemarla sulla veranda. Cosa preparerà da mangiare la signora Gallo a Luciano? «Io ho già in mente il pranzo di domani, pasta al forno e involtini». Il sindaco Pietro Fazio ha detto di aver subito «incontrato la moglie e i tre figli del tecnico, erano finalmente rilassati, dopo giorni di tensione». Adesso il paese, dice il sindaco, vorrebbe festeggiare: «Attendiamo il loro ritorno. Siamo pronti ad organizzare una grande festa ma faremo qualcosa solo se la famiglia lo vorrà, rispetteremo la volontà della famiglia».
Incontenibile la gioia della figlia di Francesco Scalise a Pianopoli. Maria ha detto: «Dopo 21 giorni oggi è un giorno di grande festa. Non sappiamo ancora quando rivedremo papà ma non vedo l’ora di riabbracciarlo». Gioia e soddisfazione è stata manifestata anche dal sindaco di Pianopoli Gianluca Cuda, che a proposito delle polemiche che stavano montando in Calabria ha detto che la liberazione dei due operai «è la dimostrazione che bisogna avere fiducia nelle istituzioni, è la fine di un incubo, il governo ha lavorato sotto traccia e ha ottenuto i risultati che tutti speravamo».
La prossima settimana i due sequestrati verranno ascoltati dai magistrati che indagano sul rapimento. Interessante il racconto di Giuseppe Rizzuti, 32 anni, che era con i due operai calabresi un paio di ore prima del rapimento: «La mattina di venerdì 17 insieme ai due colleghi ero andato a fare dei lavori in un cantiere — racconta Giuseppe —. Poi Luciano e Francesco si sono allontanati con i mezzi per andare a pulire una strada. Qualche ora dopo non vedendoli tornare mi sono allarmato e sono andato a cercarli. Le portiere dei mezzi erano aperte ma dei colleghi nessuna traccia».
Mariolina Iossa
Carlo Macrì


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