L’opposizione dura chiama allo scontro

by Sergio Segio | 13 Febbraio 2014 10:00

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Acque agi­tate in Vene­zuela nella Gior­nata della gio­ventù, cele­brata ieri in tutto il paese sia dai soste­ni­tori del governo che dall’opposizione. Nella capi­tale, hanno sfi­lato gio­vani di oppo­ste fazioni: col rosso del socia­li­smo boli­va­riano o col giallo delle destre e del padro­nato. Con slo­gan, con­certi e mura­les, i cha­vi­sti hanno ricor­dato il bicen­te­na­rio della Bat­ta­glia della Vit­to­ria, durante la quale migliaia di gio­vani si ribel­la­rono nello stato Ara­gua (nel cen­tro del paese) con­tro le forze colo­niali spa­gnole di José Tomas Boves. I gialli hanno por­tato in piazza tutti i temi dell’opposizione dura al «governo di strada» di Nico­las Maduro, chie­dendo che se ne vada.

Da oltre una set­ti­mana, i set­tori più oltran­zi­sti della Mesa de la uni­dad demo­cra­tica (Mud), capeg­giati da Leo­poldo Lopez, da Maria Corina Machado e dal sin­daco della Gran Cara­cas, Anto­nio Lede­zma, hanno lan­ciato una cam­pa­gna deno­mi­nata «la salida» (la par­tenza), invi­tando i pro­pri mili­tanti a scen­dere in piazza. L’altroieri hanno pro­te­stato alcuni grandi gior­nali pri­vati, lamen­tando la man­canza di carta.

Lopez è il lea­der di Volun­tad Popu­lar (Vp), Machado, grande spon­sor degli Stati uniti capeg­gia il par­tito Vente Vene­zuela e ha lan­ciato le mani­fe­sta­zioni al tri­plice grido di: «Fuori i cubani!». A soste­nerli, buona parte del padro­nato e gruppi di depu­tati che si ritro­vano nella Movida Par­la­men­ta­ria. Gruppi che hanno rifiu­tato la mano tesa da Maduro dopo la netta vit­to­ria cha­vi­sta alle ele­zioni muni­ci­pali dell’8 dicem­bre, che la destra avrebbe voluto tra­sfor­mare in un ple­bi­scito con­tro il pre­si­dente socia­li­sta. All’incontro del governo con tutti i sin­daci, gover­na­tori e respon­sa­bili di oppo­si­zione, si è pre­sen­tato anche il lea­der della Mud Hen­ri­que Capri­les, gover­na­tore dello stato di Miranda e fon­da­tore di Vp. Un Capri­les con barba e ges­sato, deciso a man­te­nersi la pol­trona del ricco stato che governa (male, secondo le sta­ti­sti­che e le lamen­tele dei suoi con­cit­ta­dini) e a dismet­tere l’abito del mastino di Lopez.

Durante il golpe del 2002 con­tro l’allora pre­si­dente Hugo Chá­vez, Lopez e Capri­les (allora gio­vane sin­daco del muni­ci­pio Baruta) sono stati fil­mati men­tre diri­ge­vano l’assalto con­tro l’ambasciata cubana. Ora, però, il gover­na­tore di Miranda, mal tol­le­rato dalla sua coa­li­zione in quanto «eterno scon­fitto» (ha perso le due ultime tor­nate pre­si­den­ziali, prima con Chá­vez e poi con Maduro) prova a sal­varsi in cor­ner: anche per sfug­gire all’eventualità di un pro­cesso per aver sobil­lato le vio­lenze poste­let­to­rali seguite alla sua scon­fitta (di misura) alle pre­si­den­ziali del 14 aprile (11 morti nel campo chavista).

All’incontro paci­fi­ca­tore, Maduro gli ha stretto la mano, riba­dendo che l’opposizione demo­cra­tica, dispo­sta a lavo­rare su temi comuni come l’insicurezza è ben­ve­nuta: quella gol­pi­sta, invece «verrà scon­fitta dalla forza del popolo e da quella della demo­cra­zia». Maduro cerca in que­sto modo di disin­ne­scare le ali più estreme della destra vene­zue­lana, legate agli inte­ressi del gran capi­tale inter­na­zio­nale e agli Stati uniti: istan­ca­bili ispi­ra­tori della «guerra eco­no­mica», dei com­plotti e dei sabo­taggi al socia­li­smo boli­va­riano, che ha messo al primo posto gli inte­ressi degli strati popo­lari ma ha por­tato anche molti bene­fici alla «classe media».

In Vene­zuela s’incontra un’economia mista (dello stato, del pri­vato, delle coo­pe­ra­tive e delle imprese auto­ge­stite): e per qual­che mul­ti­na­zio­nale che non accetta di pagare le tasse e fa fagotto, altre restano e gua­da­gnano. Negli ultimi 12 mesi, i beni accu­mu­lati sono cre­sciuti del 61,8%. Da ini­zio anno, il governo ha impo­sto ai com­mer­cianti un mar­gine di gua­da­gno non supe­riore al 30%. E ha pro­messo di incre­men­tare gli espro­pri dei grandi gruppi che non si ade­guano alle leggi.
Una scom­messa tutta in salita in un paese fra i mag­giori pro­dut­tori di greg­gio al mondo, che vive della ren­dita petro­li­fera e che ha ere­di­tato un’inflazione record dif­fi­cile da debel­lare. La ten­denza al rialzo regi­strata (56,3%) sem­bra essersi atte­nuata di 3,3 punti a gen­naio: anche a seguito delle misure eco­no­mi­che pro­mosse dal governo con­tro l’aumento dei prezzi e la speculazione.

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