L’Unione europea vuole il dialogo con Cuba

by Sergio Segio | 13 Febbraio 2014 10:06

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L’Unione euro­pea ha for­mal­mente inviato al governo dell’Avana la pro­po­sta di inta­vo­lare trat­ta­tive per un Accordo di dia­logo poli­tico e di coo­pe­ra­zione. Nei fatti si tratta di nego­ziare un nuovo trat­tato bila­te­rale con l’isola che butti die­tro le spalle la cosi­detta “Posi­zione comune”, una linea che subor­di­nava le rela­zioni bila­te­rali (poli­ti­che, eco­no­mi­che e com­mer­ciali) dell’Unione alle cri­ti­che che la destra euro­pea –il pre­mier spa­gnolo Aznar in pri­mis– rivol­geva al governo cubano riguardo al rispetto dei diritti umani. Le cri­ti­che si rife­ri­vano prin­ci­pal­mente allo stato della libertà di espres­sione e asso­cia­zione, igno­rando altri aspetti dei diritti umani – scuola e sanità gra­tuite, ad esem­pio– per i quali Cuba era ben più avanti di altri paesi part­ner dell’Ue.

Come era acca­duto – e con­ti­nua a veri­fi­carsi– per il cin­quan­ten­nale embargo uni­la­te­rale sta­bi­lito dagli Stati uniti, anche la “Posi­zione comune” non è ser­vita a muo­vere di un solo mil­li­me­tro il governo di Cuba dalle pro­prie posi­zioni. E se nell’isola da più di tre anni sono in corso riforme del modello socio-economico (socia­li­sta), con un ini­zio di aper­ture alla pro­prietà pri­vata e all’economia di mer­cato come con­tral­tare alla ridu­zione del ruolo onni­po­tente dello Stato, se sono stati aperti alcuni spazi alla società civile – spe­cie quella legata alla Chiesa cattolica-, se si pre­para una nuova legge sugli inve­sti­menti esteri che apra nuovi spazi al capi­tale stra­niero, tutto que­sto è stato per scelta e deci­sione auto­noma del par­tito comu­ni­sta e del governo cubano sotto la pre­si­denza di Raúl Castro.

Non solo, anche l’isolamento che Cuba ai tempi della Posi­zione comune (1996) doveva subire a livello del sub­con­ti­nente lati­noa­me­ri­cano, ispi­rato, se non impo­sto, dagli Stati uniti è ormai acqua pas­sata. Il recente ver­tice dell’Avana della Comu­nità degli Stati lati­noa­me­ri­cani e dei Caraibi (Celac) ha dimo­strato che la situa­zione è radi­cal­mente cam­biata: ospiti del più gio­vane dei Castro erano non solo più di trenta tra capi di Stato e di governo della regione, ma anche il segre­ta­rio gene­rale dell’Onu, Ban Ki-moon e il segre­ta­rio dell’Organizzazione degli Stati ame­ri­cani (Osa), orga­ni­smo dal quale Cuba era stata espulsa nel 1962 per ini­zia­tiva Usa. E chi non era invi­tato – Stati uniti e Canada– era assai attento a quello che acca­deva nella capi­tale cubana. E con ragione, visto che la piat­ta­forma dell’Avana pre­vede che la prio­rità dei governi del con­ti­nente, siano essi di sini­stra o di destra, è, e sarà almeno per il pros­simo decen­nio, cre­scere in maniera soste­ni­bile, con una distri­bu­zione più equa della ric­chezza tra classi e ter­ri­tori: ter­reno nel quale Cuba ha una posi­zione e — come afferma un ana­li­sta «un’aureola», che la pone come refe­rente. Piat­ta­forma che, come si vede, dif­fe­ri­sce dalle ricette neo­li­be­ri­ste che costi­tui­scono la base dei trat­tati che legano gli Stati uniti con alcuni paesi latinoamericani.

Inol­tre, due grandi paesi, Bra­sile e Mes­sico, hanno assunto un ruolo quasi da fra­tello mag­giore che fa la guar­dia per garan­tire un ambiente non con­flit­tuale attorno a Cuba – in rife­ri­mento alla que­stione dei diritti umani– oltre che a inve­stire nello svi­luppo dell’isola. Posi­zione non con­di­visa da altri stati lati­noa­me­ri­cani, ma di fatto accet­tata per­ché oggi a tutti serve disporre di uno spa­zio (la Celac) in cui poter, in mag­gior o minor grado e secondo il momento, mar­care una distanza dagli Usa. Un segnale que­sto di volontà di auto­no­mia dal cen­tro impe­riale nor­da­me­ri­cano che gli Usa hanno avver­tito con chia­rezza, tanto da rea­gire pro­prio in que­sti giorni ten­tando di chia­mare a rac­colta i pro­pri alleati dell’Alleanza del Paci­fico (Cile, Perù, Colom­bia, Mes­sico, Costa Rica).
Pro­prio il Bra­sile della pre­si­denta Dilma Rous­sef e il Mes­sico ritor­nato a guida Pri con il pre­si­dente Enri­que Peña Nieto sono stati accu­sati dall’opposizione cubana di aver aiu­tato i Castro a «cal­pe­stare i diritti umani» nell’isola, visto che, secondo denunce fatte da mili­tanti e orga­ni­smi dell’opposizione, sono stati fer­mati «cen­ti­naia di mili­tanti» nei giorni del ver­tice dell’Avana. Il tema del rispetto della libertà di asso­cia­zione e di espres­sione nell’isola è stato affron­tato da Ban Ki-moon – almeno cosi ha dichia­rato il segre­ta­rio gene­rale dell’Onu– e da alcuni altri capi dele­ga­zione lati­noa­me­ri­cani in incon­tri bila­te­rali con Raúl Castro, ma mai messi «nel piatto» nella ses­sione plenaria.

Si tratta indub­bia­mente di una posi­zione molto prag­ma­tica più che oppor­tu­ni­sta –o cinica, secondo le accuse pro­ve­nienti dagli Usa– di chi pensa che un sostan­ziale aiuto ad aprire spazi per la libertà di asso­cia­zione e espres­sione poli­tica a Cuba venga da una poli­tica che aiuti l’isola a svi­lup­parsi e aprirsi agli inve­sti­menti e mediante un dia­logo con il governo e non soste­nendo posi­zioni con­flit­tuali che, come chiede Washing­ton, mirano in pri­mis ad abbat­tere.
Linea que­sta che è soste­nuta dalla Chiesa cat­to­lica cubana, isti­tu­zione che ha un con­creto spa­zio di inter­vento auto­nomo dal governo — un col­le­gio che di fatto è un’università, corsi di pre­pa­ra­zione di qua­dri in mana­ge­ment e eco­no­mia, due rivi­ste “poli­ti­che”, decine se non cen­ti­naia di bol­let­tini par­roc­chiali. «A Cuba non vi sarà una pri­ma­nera araba, ma una tran­si­zione alla cubana cen­trata sul dia­logo con il governo», hanno ripe­tuto nei giorni scorsi a Madrid Roberto Veiga e Lenier Gon­zá­lez, diret­tore e vice­di­ret­tore di Espa­cio lai­cal, rivi­sta che ospita inter­venti non solo di intel­let­tauli cat­to­lici, ma anche di ele­menti di spicco del par­tito comu­ni­sta, oltre che con­tri­buti di cubano-americani.
Se anche la diplo­ma­zia dell’Ue, gui­data da Cathe­rine Ash­ton, inta­vo­lerà le trat­ta­tive con Cuba sul bina­rio del prag­ma­ti­smo vi sono pochi dubbi che si potrà arri­vare a un nuovo trat­tato bila­te­rale Ue-Cuba, basato su reci­proci inte­ressi eco­no­mici e che , soste­nendo le riforme in corso nell’isola, aiuti ad aprire nuovi spazi alla società civile cubana e ai diritti umani. Su que­sto ter­reno, ovvero mediante «un dia­logo poli­tico senza discri­mi­na­zioni e basato sul rispetto dell’uguaglianza e della sovra­nità degli Stati e sul prin­ci­pio di non inge­renza negli affari Interni» il governo cubano si è detto dispo­ni­bile a ini­ziare trattative.

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