Nella crisi le radici dei populismi

by Sergio Segio | 5 Febbraio 2014 9:38

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Uno degli effetti più insi­diosi della crisi è che genera con­fu­sione e spae­sa­mento. Il suo pro­lun­garsi e il radi­ca­mento dell’incertezza nel futuro aumen­tano l’intensità e la dif­fu­sione della sof­fe­renza e dell’insofferenza. Il cre­scente desi­de­rio di supe­rare la crisi è com­pren­si­bile, ma la sua impel­lenza spesso tende ad osta­co­lare l’analisi razio­nale delle sue cause, delle respon­sa­bi­lità e delle pos­si­bi­lità d’uscirne in modo posi­tivo. Tutto ciò ali­menta fru­stra­zioni indi­vi­duali e sociali, qua­lun­qui­smo e popu­li­smi che favo­ri­scono spinte di regresso civile. Que­sto è il punto in cui siamo in Ita­lia e in Europa.

Nell’ultimo tren­ten­nio, la visione politico-culturale domi­nante e la sua capa­cità di tra­dursi in luo­ghi comuni fun­zio­nali ad inte­ressi ristretti hanno por­tato pes­simi frutti.

A comin­ciare dal pro­gres­sivo peg­gio­ra­mento delle con­di­zioni economico-sociali com­ples­sive, fino alla crisi con­cla­mata dalla quale ancora non si vede via d’uscita pro­prio per­ché per­du­rano le cause e le scelte che l’anno deter­mi­nata. Per libe­rarsi da que­sto intrec­cio palu­doso di inte­ressi par­ziali e visioni con­for­mi­sti­che occorre radi­ca­lità di idee e azioni, ma in grado di sostan­ziarsi in ana­lisi e pro­po­ste di cam­bia­mento con­cre­ta­mente ade­guate ai pro­blemi, accom­pa­gnate dalla capa­cità di comu­ni­carle e farle con­di­vi­dere dall’opinione pub­blica; il con­senso deve rea­liz­zarsi non solo nei luo­ghi e nei momenti dell’acuto mani­fe­starsi dell’insofferenza, ma nella for­ma­zione di un nuovo e sta­bile senso comune.

Per cam­biare pro­fon­da­mente la rotta occorre dun­que una nuova visione cor­re­data di pro­grammi con­creti. I mer­cati da soli non pos­sono far­cela; è neces­sa­rio un effi­cace con­tri­buto delle isti­tu­zioni e della poli­tica, ma entrambe – al pari dei mer­cati – vanno rin­no­vate tro­vando un’adeguata inte­ra­zione con le istanze sociali, il rispetto della natura, la cono­scenza orga­niz­zata e i saperi diffusi.

In que­sta crisi, per molti aspetti, la sini­stra è l’ambito politico-culturale poten­zial­mente più attrez­zato per affron­tarla posi­ti­va­mente per­ché le misure più effi­caci per supe­rarla sono a lei par­ti­co­lar­mente con­ge­niali ancor­ché coe­renti con l’interesse gene­rale; come, ad esem­pio, miglio­rare la distri­bu­zione del red­dito e ridurre le dise­gua­glianze strut­tu­rali, rie­qui­li­brare i rap­porti tra mer­cati e isti­tu­zioni, rio­rien­tare la strut­tura dei con­sumi e i pro­cessi pro­dut­tivi in fun­zione di più ele­vate prio­rità eco­lo­gi­che e sociali.

Pur­troppo, da decenni anche la sini­stra si mostra disar­mata e ina­de­guata rispetto a que­sto com­pito. C’è una sini­stra che si con­si­dera evo­luta e respon­sa­bile, ma che, invece, spesso sci­vola nel con­for­mi­smo e nella sag­gezza con­ven­zio­nale, e non capi­sce che pro­prio la crisi ha accen­tuato la neces­sità di cam­bia­menti sostan­ziali nell’assetto attuale. C’è poi una sini­stra che si sente alter­na­tiva, ma che a volte lo è più nello spi­rito o in iden­tità vagheg­giate che non nella capa­cità reale di affron­tare le com­plesse pro­ble­ma­ti­che della crisi glo­bale, dell’Ue e delle spe­ci­fi­che realtà nazionali.

Si aggiunga che anche nelle rap­pre­sen­tanze poli­ti­che della sini­stra spesso si pra­ti­cano com­por­ta­menti che sof­frono di auto­re­fe­ren­zia­lità e per­so­na­li­smi, di scol­la­mento con la società e con la cono­scenza, di resi­stenza al rin­no­va­mento e al merito come cri­te­rio di selezione.

Que­ste pra­ti­che e quelle ten­denze che dege­ne­rano nell’impotenza vanno supe­rate, recu­pe­rando gli aspetti posi­tivi della tra­di­zione di “diver­sità” della sini­stra e quanto c’è di pro­gres­sivo oggi nella sua ragion d’essere sto­rica, a comin­ciare dalla lotta alle dise­gua­glianze eco­no­mi­che, sociali e civili che pro­prio nell’ultimo tren­ten­nio sono tor­nate ad aumen­tare fino a diven­tare cause pre­mi­nenti della crisi epo­cale in corso.

La fase di tran­si­zione sto­rica che stiamo attra­ver­sando offre e chiede alla sini­stra di saper ade­guare e appli­care i suoi migliori valori poi­ché, oggi più che mai, essi sono coe­renti con l’interesse gene­rale. Ma occorre tener pre­sente che in poli­tica non esi­ste il vuoto e quando esso si crea viene comun­que riem­pito, anche con solu­zioni regres­sive. La costru­zione euro­pea ci sta met­tendo di fronte ad un evi­dente e macro­sco­pico esem­pio di que­sto rischio.

Stanno cre­scendo i pre­sup­po­sti per­ché nel par­la­mento euro­peo che verrà eletto la pros­sima pri­ma­vera ci sia un ingente numero di par­la­men­tari con­trari all’Unione euro­pea. Non si trat­terà di una pro­vo­ca­zione utile a far rin­sa­vire i governi come sem­bra illu­dersi qual­che appren­di­sta stre­gone. La con­trad­di­zione e i peri­coli che essa genera non sono mano­vra­bili, ma non sem­bra che ce ne sia ade­guata e dif­fusa con­sa­pe­vo­lezza. Nelle forze poli­ti­che del nostro paese, distratte, quale più quale meno, da pro­cessi di cam­bia­mento degli equi­li­bri interni o di rin­no­va­mento dei pro­pri diri­genti, rimane scarsa atten­zione all’importanza e alle pro­ble­ma­ti­che della costru­zione euro­pea e alle pros­sime ele­zioni. Ciò costi­tui­sce non solo un effetto del cre­scente euro­scet­ti­ci­smo, ma anche una causa che l’alimenta ulte­rior­mente. Que­sto atteg­gia­mento è l’ennesima mani­fe­sta­zione del ripie­ga­mento della classe poli­tica su se stessa; nel migliore dei casi è la riprova di una sua valu­ta­zione delle prio­rità poco con­sa­pe­vole della situa­zione sto­rica che stiamo attra­ver­sando. Natu­ral­mente, per le forze poli­ti­che che col­ti­vano e sosten­gono l’euroscetticismo, l’elezione di un euro­par­la­mento di basso pro­filo, scar­sa­mente con­vinto o addi­rit­tura con­tra­rio alla costru­zione euro­pea è un esito poco pre­oc­cu­pante, anzi è auspi­cato. La sot­to­va­lu­ta­zione di tale rischio è invece esi­ziale per le forze poli­ti­che che si riten­gono o dovreb­bero essere fau­trici della costru­zione euro­pea per il ruolo pro­gres­sivo che essa può e dovrebbe avere, a comin­ciare dal supe­ra­mento dell’attuale crisi.

D’altra parte, sot­to­va­lu­tare una com­pe­ti­zione elet­to­rale e, nella fat­ti­spe­cie, non soste­nere con forza l’obiettivo di eleg­gere un euro­par­la­mento con­vinto del suo ruolo di mas­sima isti­tu­zione demo­cra­ti­ca­mente rap­pre­sen­ta­tiva dell’Unione euro­pea signi­fica raf­for­zare i suoi avver­sari; e quand’anche non risul­tas­sero mag­gio­ri­tari gli oppo­si­tori al pro­getto euro­peo tout court, rimar­reb­bero domi­nanti i soste­ni­tori della pri­ma­zia dell’unione dei mer­cati e delle monete, del rigore asim­me­trico (a seconda che si rife­ri­sca ai bilanci pub­blici o a quelli delle ban­che) e dell’austerità, nono­stante sia sem­pre più evi­dente il loro ruolo con­tro­pro­du­cente non solo rispetto alla cre­scita, ma anche rispetto agli stessi conti pub­blici. Pro­se­gui­rebbe il metodo deci­sio­nale inter­go­ver­na­tivo dove pre­vale la non-logica di con­trap­porre paesi forti e paesi deboli a disca­pito degli inte­ressi com­ples­sivi dell’Unione. La sot­tra­zione dei poteri deci­sio­nali ai par­la­menti e ai governi nazio­nali — che sarebbe del tutto nor­male in un pro­cesso uni­ta­rio — con­ti­nue­rebbe a risol­versi nella devo­lu­zione dei poteri deci­sio­nali da isti­tu­zioni demo­cra­ti­ca­mente rap­pre­sen­ta­tive a orga­ni­smi politico-burocratici che riflet­tono la gerar­chia delle potenze nazionali.

Le loro deci­sioni sem­pre più sareb­bero avver­tite come estra­nee a una volontà popo­lare la cui esclu­sione dalla costru­zione euro­pea, misce­lata con la crisi e con poli­ti­che tanto penose quanto con­tro­pro­du­centi, por­te­reb­bero al fal­li­mento sto­rico del pro­getto comu­ni­ta­rio dagli esiti impre­ve­di­bili, anche cata­stro­fici, e non solo sul piano economico.

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