“Salari troppo bassi agli stranieri Ecco le colpe del governo dietro quest’ondata xenofoba”

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JEAN Ziegler non usa mezzi termini: «È un risultato catastrofico ». Per il sociologo ed ex inviato speciale dell’Onu sul Diritto all’alimentazione, il voto al referendum svizzero è segno di «un paese in crisi profonda».

Professore, perché lo considera un esito disastroso?
«Per una ragione morale e una politica. Di fatto si torna al vecchio Statuto degli stagionali, una vergogna. Chi veniva in Svizzera con contratto limitato non poteva portare la famiglia. Ora succederà lo stesso: ogni cantone avrà un numero contingentato di permessi, che non utilizzerà per le famiglie».
E la seconda ragione?
«La Svizzera ha rifiutato di entrare nell’Unione europea per molte ragioni e ha firmato accordi bilaterali con ognuno dei 28 paesi Ue. Il referendum abolisce i patti di libera circolazione, ma Bruxelles sostiene che gli accordi bilaterali sono un tutt’uno, e quindi sono nulli per intero».
Che conseguenze ci saranno?
«Non verranno più i lavoratori competenti, verranno solo i cittadini dei paesi più schiacciati dalla miseria, non sempre adatti per lavorare nelle nostre industrie e nei servizi».
Ma da dove nasce la tensione xenofoba?
«Negli ultimi cinque anni sono arrivate 80-85 mila persone ogni anno. Gli stranieri sono più del 23 per cento. E l’estrema destra, l’Udc di Blocher, usa queste
cifre per creare un clima di intolleranza in vista delle elezioni. Dicono che l’affitto delle case è ormai a livelli astronomici, che il traffico è congestionato, che scuole e ospedali sono troppo pieni per l’afflusso di stranieri».
Problemi che si potevano evitare?
«Quando ha firmato l’accordo sulla libertà di circolazione, il governo ha preso l’impegno di accompagnarlo con misure di controllo, per evitare che le imprese assumessero immigrati a salari molto più bassi degli svizzeri. Poi non ha mantenuto la promessa. E la situazione si è fatta difficile. Nel Canton Ticino, dove le percentuali di “sì” al referendum sono state massicce, gli italiani lavorano per un terzo dello stipendio e molti svizzeri non trovano lavoro».
Ma perché il governo non ha messo in atto le misure promesse?
«Berna non ha contrastato il dumping salariale perché le grandi imprese e le banche hanno sabotato la legge. Il Parlamento, dove i consiglieri delle grandi imprese sono in maggioranza, ha bloccato i finanziamenti necessari. È una democrazia malata».
E ora che succederà?
«Il governo spera di trovare una via d’uscita, se Bruxelles accetterà l’annullamento del solo patto di libera circolazione. Altrimenti alla Svizzera rimangono due possibilità. Può entrare nell’Unione, accettandone tutte le normative, oppure restare in totale isolamento. Ma in questo caso, come potrà compensare la perdita dei rapporti con l’Unione europea? Il 67 per cento dell’export svizzero va nei paesi Ue».
Secondo lei la popolazione ha colto fino in fondo le implicazioni del voto?
«La gente sapeva di essere davanti a una svolta, lo dimostra l’alta affluenza. Ma la rabbia xenofoba, pur basata su fatti reali come il dumping salariale, è stata più forte della ragione. È il rischio delle democrazie: si possono suicidare prendendo decisioni assurde».


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