I Fratelli d’Italicum

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Per venti voti, cioè per undici depu­tati, tutti mini­stri e sot­to­se­gre­tari pre­cet­tati in aula dal brac­cio destro Del­rio, Mat­teo Renzi salva il governo, la mag­gio­ranza «ombra» con Ber­lu­sconi e quella che imma­gina come la più potente arma di pro­pa­ganda per le pros­sime Euro­pee. La riforma della legge elet­to­rale va avanti, gra­zie a una seduta que­sta mat­tina il pre­si­dente del Con­si­glio conta di esi­birla oggi in con­fe­renza stampa assieme al jobs act, ma l’Italicum che passa al senato non può nascon­dere più le sue ver­go­gne. Che sono poi le stesse del Por­cel­lum che si vor­rebbe supe­rare, due su tutte: il pre­mio abnorme di mag­gio­ranza e le liste bloc­cate. Il tutto con­fer­mato a colpi di mag­gio­ranza, gra­zie ai voti segreti, agli oppor­tu­ni­smi dei falsi oppo­si­tori di cen­tro­de­stra e alle bizan­tine stra­te­gie di una parte della mino­ranza Pd.
Il rispetto dell’accordo con il Cava­liere prima di tutto, e così uno dopo l’altro ven­gono respinti gli emen­da­menti che pun­ta­vano ad abbas­sare le soglie di sbar­ra­mento, a intro­durre le pre­fe­renze, a pre­ve­dere le pri­ma­rie obbli­ga­to­rie per legge e infine, con il deci­sivo soc­corso dei sot­to­se­gre­tari, cade anche l’idea della dop­pia pre­fe­renza di genere con la quale si si poteva recu­pe­rare lo sci­vo­lone di lunedì sulle quote. Ma la mag­gio­ranza che sulla carta è di almeno 150 voti, a stare stretti, si riduce fino a venti. Il governo regge ma crolla l’argomento con il quale Renzi ha giu­sti­fi­cato il patto con Ber­lu­sconi, e cioè la neces­sità di garan­tire un’ampia mag­gio­ranza e una con­di­vi­sione sulla legge elettorale.Dopo l’ennesima inter­ru­zione di un’ora a tarda sera, poi, in un’aula stanca e un po’ distratta, viene fuori un det­ta­glio illu­mi­nante. Riguarda un «comma 22», che non si occupa come il più cele­bre di fol­lia, bensì di fur­bi­zia e scam­bio. Tra riu­nioni «volanti» del comi­tato dei nove, con­sulti rapidi con la mini­stra Boschi, nuove inter­ru­zioni, prende forma un emen­da­mento che salva il par­tito di La Russa e Meloni dal dovere di rac­co­gliere le firme alle pros­sime ele­zioni.
Con Fra­telli d’Italia si sal­verà anche il Nuovo cen­tro­de­stra di Alfano e, gra­zie a uno spo­sta­mento della data soglia al 1 gen­naio 2014, anche Per l’Italia di Casini e Mauro. Tutti pic­coli par­titi, di quelli a cui Renzi va dicendo di voler togliere il potere di ricatto, i cui voti sono risul­tati però deci­sivi per sal­vare ieri sera l’Italicum. Tanto che si sospetta il dop­pio gioco di Fra­telli d’Italia: suo l’emendamento sulla dop­pia pre­fe­renza boc­ciato di un sof­fio. E pro­prio da quei ban­chi è arri­vata l’accusa pre­ven­tiva ai fran­chi tira­tori della Lega Nord, una mossa che è suo­nata ai più come la pro­ver­biale excu­sa­tio non richiesta.La gior­nata era comin­ciata con un richiamo all’ordine di Renzi ai depu­tati Pd. E soprat­tutto alle depu­tate, che dopo la boc­cia­tura a scru­ti­nio segreto delle quote hanno chie­sto la con­vo­ca­zione di una dire­zione del par­tito. Il pre­si­dente del Con­si­glio ha pro­messo che il con­fronto ci sarà. Ma dopo che la camera avrà appro­vato la legge e soprat­tutto dopo la con­fe­renza stampa con la quale apporre in pub­blico il tim­bro «fatto» sull’Italicum, nella spe­ranza che nasconda le crepe. Poi la pra­tica passa al senato, dove incro­cerà il can­giante dise­gno di legge costi­tu­zio­nale di modi­fica del bica­me­ra­li­smo, quello pro­messo — meglio sarebbe dire minac­ciato — per il 15 feb­braio scorso. Due pra­ti­che che dovranno mar­ciare unite, legate dal fatto che la legge elet­to­rale che esce dalla camera nulla dice su palazzo Madama, che dun­que andrebbe eletto con il sistema pro­por­zio­nale sal­vato dalla Corte Costi­tu­zio­nale.
Cir­co­stanza che in un colpo solo fa splen­dere di irra­gio­ne­vo­lezza il pode­roso pre­mio di mag­gio­ranza per Mon­te­ci­to­rio, visto che con­trol­lare una sola camera non baste­rebbe a garan­tire la gover­na­bi­lità. «Tor­ne­remo su quote e pre­fe­renze», fanno girare la voce i colon­nelli ren­ziani per pla­care l’ira della mino­ranza Pd, più evi­dente quella della resi­dua com­po­nente let­tiana. Ma, pre­ci­sano «se ci saranno le con­di­zioni», cioè se Ber­lu­sconi vorrà; ed è certo che Ber­lu­sconi non vorrà. Gli scon­tenti atten­dono nella trin­cea di palazzo Madama e si risente anche Pier­luigi Ber­sani, sicuro che «al senato biso­gnerà cam­biare qual­cosa. Capi­sco gli accordi ai quali è affe­zio­nato Ber­lu­sconi, dovrà far­sene una ragione».Ma le truppe di mino­ranza sono divise e così non rie­scono ad andare oltre i mugu­gni, man­cando anche l’occasione rara del voto favo­re­vole (agli emen­da­menti per le pre­fe­renze) del Movi­mento 5 Stelle. Rosy Bindi e pochi altri pren­dono la parola per con­fer­mare il loro voto in dis­senso dalla linea del governo, per il resto è tutto un bat­tere i tac­chi in rispo­sta al richiamo del par­tito. E così la legge resta nella sostanza quella uscita con Ber­lu­sconi dalla stanza del segre­ta­rio Pd al Naza­reno, nel famoso incon­tro di due mesi fa. Buona per la pro­pa­ganda elet­to­rale di Renzi, e per i giu­dici costi­tu­zio­nali, quando sarà.



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