Addizionale sulla casa fino all’11,4 per mille

ROMA — Si riparte dalla tasse. Nel suo primo consiglio dei ministri operativo, il governo Renzi traduce in un decreto legge l’accordo fra governo Letta e Comuni sulla Tasi, la tassa sui servizi indivisibili come l’illuminazione pubblica. I sindaci potranno alzare l’aliquota di un altro 0,8 per mille sulla prima casa, passando dal 2,5 al 3,3 per mille, oppure sulle seconde case, salendo dal 10,6 all’11,4 per mille. O anche spalmare l’aumento sulle due categorie. I soldi che arriveranno in più, saranno utilizzati per non far pagare la Tasi a quei 5 milioni di italiani che non hanno pagato la vecchia Imu. Come? Finanziando le detrazioni fissate dai sindaci perché, come ricorda il sottosegretario alla presidenza del consiglio Graziano Delrio, sono loro che possono «rendere la tassa più equa e più flessibile». I bonus dovrebbero ricalcare su un livello leggermente più basso quelli dell’Imu, che erano di 200 euro a famiglia e 50 per ogni figlio. I soldi eventualmente avanzati dalle detrazioni potranno essere usati dai sindaci per altre voci.
L’obiettivo è quello di spostare verso l’alto il peso della tassa: facendo pagare zero chi ha una casa con bassa rendita catastale, e chiedendo qualcosa in più a chi ha un’abitazione di maggior valore. Ma da Forza Italia arrivano critiche: «È la prima tassa varata da Renzi», dice il presidente della commissione Finanze della Camera Daniele Capezzone.
Ma il vero giallo riguarda gli immobili della Chiesa. Nel decreto viene garantita l’esenzione per i 25 immobili della Chiesa indicati nei Patti lateranensi, una lista che comprende la residenza del Papa a Castel Gandolfo . Il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta lascia intendere che la Tasi andrebbe pagata da tutti gli altri immobili religiosi, chiese ed oratori compresi perché «questa è una tassa sui servizi non sul patrimonio». Ma gli strettissimi collaborato-ri del ministro dell’Economia smentiscono questa possibilità, affermando che la Tasi graverà sugli immobili commerciali della Chiesa ma non sui luoghi di culto, come per l’Imu. E un comunicato di Palazzo Chigi aggiunge che la norma «non incide per nulla sul regime impositivo attualmente in vigore per altri beni ecclesiastici».
Con lo stesso decreto legge viene prorogata fino alla fine di marzo la rottamazione delle cartelle di Equitalia. Viene poi cancellata la web tax, la tassa sui colossi di internet introdotta con la legge di Stabilità. Lo annuncia lo stesso premier Matteo Renzi che l’aveva criticata fin dal primo momento: «Ne riparleremo in un quadro europeo. Siamo stati di parola». Replica Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio alla Camera, che l’aveva studiata: «Si favoriscono le multinazionali». Per i dettagli bisognerà aspettare il testo definitivo. La cosiddetta web tax era divisa in due parti. La prima riguardava l’obbligo di avere un partita Iva in Italia, ed era stata rinviata di qualche mese. La seconda ha introdotto la tracciabilità dei pagamenti ed è operativa: quest’anno dovrebbe dare allo Stato 137 milioni di euro. Cancellando questa parte bisognerebbe trovare una copertura alternativa.
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