Cina più flessibile sui cambi lo yuan potrà oscillare del 2%

Cina più flessibile sui cambi lo yuan potrà oscillare del 2%

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?NEW YORK – Avanza la deregulation finanziaria in Cina: sul mercato dei cambi e non solo quello. Il governo di Pechino fa un passo in più nella direzione auspicata dall’Amministrazione Obama (e anche da quelle che l’hanno preceduta), con l’annuncio che lo yuan o renminbi d’ora in avanti avrà una banda di oscillazione doppia rispetto al dollaro: dall’1% in su o in giù, si passa al 2% di fluttuazione consentita quotidianamente.
E’ una misura che rende la valuta cinese più sensibile alle forze della domanda e dell’offerta, quindi più vicina a una parità decisa dai mercati, meno manipolata dal governo. Lo yuan resta una moneta semi-convertibile, non ha la stessa libertà di circolazione del dollaro o dell’euro, e le autorità monetarie cinesi si riservano la facoltà di fissare la parità centrale con il dollaro. Tuttavia l’allargamento della fascia di oscillazione va incontro alle richieste degli Stati Uniti, nonché dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale. A Washington in particolare, più volte il Congresso Usa ha minacciato ritorsioni protezioniste contro quella che definiva come una manipolazione del cambio a fini competitivi. Nel lungo periodo in realtà lo yuan ha continuato ad apprezzarsi rispetto al dollaro: oggi vale il 30% in più rispetto al suo valore del 2005. E tuttavia dall’inizio di quest’anno lo yuan ha perso l’1,6% rispetto al dollaro in coincidenza con il rallentamento della crescita cinese.
Donde un’interpretazione maliziosa: Pechino accede alle richieste americane adesso, perché sa che in questa fase i mercati spingono lo yuan non al rialzo bensì al ribasso, aiutando così la competitività del made in China. Comunque la parziale liberalizzazione valutaria s’inserisce nel nuovo corso del presidente Xi Jinping e del premier Li Keqiang, che stanno operando una cauta deregulation finanziaria. Le cui conseguenze non sono sempre gradite ai mercati. Un esempio concreto, la scorsa settimana: il governo per la prima volta ha deciso di lasciar fallire alcune società ed ha ammonito che i default sui bond in certi casi saranno inevitabili. Queste azioni sono coerenti con l’annunciata volontà di fare pulizia nello “shadow-banking” (settore bancario- ombra) dove si annidano sofferenze, crediti incagliati, bolle speculative. Gli investitori internazionali non sanno se rallegrarsi perché Pechino vuole riformare la sua finanza, o temere uno shock destabilizzante se tutte le bolle vengono “bucate”. La settimana scorsa è prevalsa la preoccupazione, anche per il crollo delle quotazioni mondiali del rame, una materia prima di cui le aziende cinesi sono al tempo stesso compratrici per scopi industriali, ma sulla quale speculano anche con strumenti di finanza derivata. In parziale controtendenza rispetto alla deregulation finanziaria, invece, il governo di Pechino ha fatto un dietrofront sui pagamenti attraverso smartphone, e li ha vietati. Sulla scorta della forte diffusione che lo smartphone come mezzo di pagamento ha avuto in Giappone e Corea del Sud, i big cinesi della telefonia mobile lo avevano ampiamente sviluppato. Ora la banca centrale ne ha sospeso l’uso per fare delle verifiche sulla sua sicurezza.


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