Crescita, debito, riforme: tripletta impossibile per l’Italia

Crescita, debito, riforme: tripletta impossibile per l’Italia

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È uscita lo scorso 5 marzo la «Ana­lisi appro­fon­dita» della Com­mis­sione Euro­pea sull’Italia, docu­mento chiave della pro­ce­dura per moni­to­rare gli «squi­li­bri macroe­co­no­mici» intro­dotta di recente assieme al fiscal com­pact. Quest’anno l’Italia è salita sul podio per «squi­li­bri ecces­sivi» assieme a Slo­ve­nia e Croa­zia, rischiando dun­que un’ammenda (che può arri­vare fino allo 0.5% del Pro­dotto interno lordo) se non saranno adot­tate misure cor­ret­tive sufficienti.
I prin­ci­pali gior­nali ita­liani hanno accolto con stri­sciante giu­bilo la noti­zia, ripor­tando per lo più solo il rias­sun­tino ini­ziale del docu­mento e coster­nan­dosi per un «mer­cato del lavoro asfit­tico» e una tas­sa­zione insop­por­ta­bile.
Leg­gendo atten­ta­mente il rap­porto in realtà si capi­sce come il nostro Paese si trovi di fronte ad un’impossibile tri­nità: ritor­nare a cre­scere, ridurre il debito pub­blico e fare riforme.I prin­ci­pali squi­li­bri iden­ti­fi­cati per l’Italia sono due: l’alto rap­porto debito /Pil e la per­dita di com­pe­ti­ti­vità sui mer­cati esteri. Per ridurre leg­ger­mente il debito appena sotto il 115% del Pil entro il 2020, l’Italia dovrebbe man­te­nere a lungo un sur­plus pri­ma­rio, al netto cioè della spesa per inte­ressi, pari a cin­que punti Pil. Si noti che il sur­plus pri­ma­rio è stato nel 2012 del 2.5% e quello sti­mato per il 2013 è del 4.5%. A pre­scin­dere dalla fat­ti­bi­lità dell’impresa, tale richie­sta limi­terà ulte­rior­mente lo spa­zio per qual­siasi tipo di poli­tica fiscale espan­siva per anni a venire.Sulla com­pe­ti­ti­vità, invece, si nota final­mente che a livello aggre­gato i salari nomi­nali ita­liani sono cre­sciuti in linea con l’area euro. Si smen­ti­sce addi­rit­tura che l’Italia non abbia fatto riforme strut­tu­rali. Il nostro Paese si piazza davanti a molti altri paesi Euro­pei sia per libe­ra­liz­za­zioni del mer­cato sia per «fles­si­bi­lità» del lavoro (dove fa “meglio” fra gli altri di Ger­ma­nia, Olanda, Fran­cia). Si punta il dito sul cuneo fiscale ma si rico­no­sce che, data la riforma delle pen­sioni in senso con­tri­bu­tivo, non vi è molto spa­zio per ridurlo senza com­pro­met­tere le pen­sioni future.
Il rap­porto affronta poi pro­ble­ma­ti­che forse meno “orto­dosse”, ma non per que­sto meno note: la scarsa effi­ca­cia degli inve­sti­menti fatti e la con­se­guente bassa qua­lità dei pro­dotti del nostro export, la dif­fi­coltà di accesso al cre­dito, i bassi inve­sti­menti in istru­zione, ricerca e svi­luppo, il sot­to­di­men­sio­na­mento delle nostre imprese, etc… Non man­cano i rife­ri­menti alle inef­fi­cienze ammi­ni­stra­tive e alla cor­ru­zione. Infine, e soprat­tutto, nel rap­porto ven­gono espli­ci­ta­mente men­zio­nati i limiti strut­tu­rali della zona euro: la man­canza di un aggiu­sta­mento sim­me­trico, la bassa infla­zione e l’apprezzamento dell’euro.La con­clu­sione del rap­porto è tut­ta­via sor­pren­dente. Per far fronte a una «allo­ca­zione delle risorse» con­si­de­rata inef­fi­ciente e «in anti­ci­pa­zione dei bene­fici che le riforme por­te­ranno» è neces­sa­rio appli­care la stessa medi­cina di riforme strut­tu­rali (leggi tagli dei salari e ridu­zione ulte­riore delle pro­te­zioni dei lavo­ra­tori) adot­tata negli ultimi anni da Gre­cia, Spa­gna e Por­to­gallo. La strada mae­stra rimane l’eliminazione delle «rigi­dità» del mer­cato del lavoro e la dere­go­la­men­ta­zione dei mer­cati di pro­dotti, capi­tali e ser­vizi, con­fi­dando nell’efficienza dei mer­cati. Que­sti ultimi, una volta liberi dalle distor­sioni dell’intervento pub­blico, ten­de­ranno verso la più effi­ciente allo­ca­zione delle risorse.Se nella parte ana­li­tica si rico­no­sce di fatto che per risol­vere i pro­blemi del Paese sarebbe neces­sa­ria una nuova poli­tica indu­striale, un rilan­cio degli inve­sti­menti, l’apertura di nuove fonti di cre­dito per le imprese e un impe­gno con­si­stente per miglio­rare le infra­strut­ture, la Com­mis­sione in qual­che modo impli­ci­ta­mente con­clude rico­no­scendo che l’Italia non ha i mar­gini per poter attuare que­ste riforme. Non resta che tagliare i salari per diven­tare più competitivi.
È nella frat­tura tra ana­lisi e con­clu­sioni, dun­que, che il rap­porto rivela come la peri­fe­ria Euro­pea e, ancora peg­gio, le isti­tu­zioni siano da tempo sotto scacco. La meta­mor­fosi di un’analisi sugli squi­li­bri macroe­co­no­mici nell’ennesimo stru­mento di vuota reto­rica sulla sva­lu­ta­zione interna rivela la grot­te­sca svolta kaf­kiana del pro­cesso stesso di inte­gra­zione Europea.Come forse meglio di tutti ha rias­sunto il grande eco­no­mi­sta ame­ri­cano Hyman Min­sky, il capi­tale finan­zia­rio sem­pre più libero da vin­coli rego­la­men­tari tende a muo­versi accu­mu­lan­dosi lad­dove i ritorni sono (o sem­brano) i più alti e i più facili. Da qui nascono le bolle, che dal 1700 in poi ricor­rono nella sto­ria del capi­ta­li­smo con fre­quenza mag­giore lad­dove è minore il con­trollo isti­tu­zio­nale. In secondo luogo, le bolle quasi sem­pre si ori­gi­nano in un set­tore dell’economia (borsa, edi­li­zia, debito estero) ma poi lo shock tra­volge tutti gli agenti eco­no­mici in misura diversa: i più espo­sti, i meno pro­tetti, ne pagano le con­se­guenza mag­giori, indi­pen­den­te­mente dal fatto di avere molta, poca o nes­suna responsabilità.La pre­senza delle cosid­dette «rigi­dità» e un ruolo impor­tante e proat­tivo del governo impe­di­scono che un effetto domino simile a quello del 1929 pre­valga a seguito di una crisi, ovvero che fal­li­menti in sequenza tra­vol­gano anche imprese e set­tori altri­menti del tutto sani, ridu­cendo i costi non solo sociali ma anche eco­no­mici di tali crisi.
Le cosid­detta «sva­lu­ta­zione interna», al con­tra­rio, ampli­fica – e non limita — gli effetti delle crisi, tra­smet­tendo il con­ta­gio al resto dell’economia, pro­vo­cando caduta d’occupazione a aumento del peso reale del debito.Ciò non signi­fica che l’Italia non abbia biso­gno di riforme. Ma per fare le riforme dav­vero neces­sa­rie ser­vi­reb­bero mar­gini di mano­vra che non pos­sono esi­stere nel con­te­sto isti­tu­zio­nale che ci siamo dati, a causa della con­co­mi­tante richie­sta di ridurre a tappe for­zate il debito pub­blico e la man­canza di qua­lun­que tipo di capa­cità fiscale a livello fede­rale. Se si aggiunge l’ostinazione della Banca Cen­trale Euro­pea nel per­se­guire poli­ti­che for­te­mente ina­de­guate, ecco rias­sunta l’impossibile tri­nità dell’Italia: ciò che dovremmo fare è impos­si­bile e ciò che stiamo facendo non funzionerà. *

Nella mito­lo­gia greca Age­nore è il padre di Europa. Age­nor è un esperto di que­stioni euro­pee che vive a Bru­xel­les. La ver­sione com­pleta dell’articolo è dispo­ni­bile su www?.sbi?lan?cia?moci?.info


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