Difesa, le spese invisibili
La ministra della difesa oggi pomeriggio davanti alle commissioni riunite di camera e senato, il Consiglio supremo di difesa domani mattina al Quirinale. È in questi due passaggi che si chiarirà se e quanto potrà effettivamente essere rivisto il programma di acquisto degli F-35. Di una riduzione dei piani di investimento hanno parlato domenica prima la ministra Pinotti, poi direttamente il presidente del Consiglio Renzi. Senza fare cifre. Autorizzando per questo le speranze di quanti da anni insistono per un drastico ridimensionamento (o cancellazione) del piano di acquisto di novanta aerei caccia, dal costo stimato di novanta milioni l’uno. Ma anche lo scetticismo di chi vede negli annunci una promessa dal sapore elettorale (per le europee). Tanto più che a guardare dentro le altre due voci di risparmio a carico della difesa, si scoprono o tagli già fatti dal governo Letta, che ha ridotto per decreto il personale da 190mila a 150mila militari, oppure obiettivi che si ripetono da anni simili a miraggi, come la dismissione rapida di quasi 400 beni immobili (caserme e presidi vari).
La novità può essere che stavolta gli annunci del governo non cadono nel vuoto. Negli ultimi mesi infatti il parlamento ha condotto un’indagine conoscitiva sul complesso dei sistemi d’arma, ormai conclusa, nel corso della quale le criticità del programma di investimenti per gli F-35 (per tacere dei problemi tecnici che l’aereo sta facendo registrare) sono ampiamente emerse. Il partito democratico in particolare, dopo essersi opposto l’estate scorsa alla mozione del Movimento 5 stelle e di Sel che chiedeva di superare il programma F35, ha preparato un documento che individua ampi margini per risparmiare sulla spese per armamenti. E propone di dimezzare l’acquisto degli F-35. È ancora all’attenzione del gruppo parlamentare, la ministra della difesa lo conosce bene. In particolare il documento dimostra come il calcolo degli investimenti nei sistemi d’arma debba essere fatto in modo da includere anche quelle cifre che non risultano nel bilancio dello stato nei capitoli del ministero della difesa. Come per esempio gli investimenti in alta tecnologia militare — tra questi quelli necessari all’aggiornamento degli elicotteri da combattimento, dei Tornado e quelli destinati alla Selex per il programma Forza Nec (il cosiddetto soldato digitale del futuro) — che sono a carico del ministero dello sviluppo economico.
A conti (ri)fatti, si trova una differenza tra gli impegni formali di spesa in armamenti e quelli effettivi di oltre un miliardo di euro. A prendere per buona la proporzione contenuta nella riforma delle forze armate firmata dall’ex ministro (di Monti) Di Paola, un quarto dell’intero bilancio della difesa dovrebbe essere destinato all’acquisto di nuovi sistemi d’arma (un altro quarto al loro esercizio e un mezzo alle spese per il personale). 3,5 miliardi, dunque, su un bilancio di oltre 14. Ma conteggiando anche gli investimenti «nascosti» nei bilanci degli altri ministeri, la spesa per armamenti italiana già supererebbe i 5 miliardi.
Oltre ai conti c’è però la politica e le pressioni per la conferma del programma degli F-35, che fino a qui sono state fortissime. Al cuore di tutto c’è la legge di revisione dello strumento militare, che dal 2012 ha rimesso il parlamento al centro delle decisioni di spesa per programmi pluriennali di difesa. E in parlamento, appunto, la volontà di ridimensionare la spesa per i caccia americani è assai cresciuta, tanto più in tempi di spending review annunciata. Adesso anche il nuovo governo dà segni di volersi muovere. L’anno scorso, però, fu un Consiglio supremo di difesa presieduto da Napolitano a fischiare lo stop, ammonendo severamente il parlamento a rispettare gli impegni dell’esecutivo in fatto di spesa militare. E domani il presidente della Repubblica ha convocato un’altra riunione del Consiglio supremo. Con all’ordine del giorno proprio le «criticità relative all’attuazione della Legge 244 di riforma e impatto sulla Difesa del processo di revisione della spesa pubblica».
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