Discriminazioni, rapporto Enar: in Italia un immigrato su 3 fa “lavori sporchi”

Discriminazioni, rapporto Enar: in Italia un immigrato su 3 fa “lavori sporchi”

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BRUXELLES – Emergono pochissime sorprese e men che meno buone notizie dall’ultima relazione ombra sulla discriminazione e il razzismo in ambito di occupazione e di mercato del lavoro in Europa, pubblicata oggi dall’Enar, la rete europea contro il razzismo.
Il rapporto, basato su dati provenienti da 23 paesi, indica che la crisi economica ha solo peggiorato una situazione già difficile per quanto riguarda le discriminazioni subite dagli immigrati e dalle minoranze etniche e religiose nell’Ue, sia per trovare lavoro sia una volta trovata un’occupazione. Cinque i gruppi che subiscono le maggiori vessazioni: i rom, i musulmani, le persone di origine africana, i neri europei e le donne migranti o appartenenti a minoranze. E la legislazione europea in materia di discriminazione sul mercato del lavoro non è sufficiente o non viene adottata correttamente dagli Stati membri.
Ma diamo alcuni dati: in Finlandia e in Belgio, ad esempio, la disoccupazione affligge tre volte di più le persone nate fuori dall’Ue che i cittadini comunitari. In Ungheria, i rom ricevono in media un salario al di sotto del minimo previsto dalla legge e in Polonia i lavoratori immigrati sono spesso forzati a fare straordinari con la minaccia del licenziamento. In Spagna, i migranti di origine africana hanno una probabilità due volte maggiore di essere disoccupati rispetto ai cittadini iberici. Nel Regno Unito, se hai un nome che suona straniero, hai tre volte in meno la possibilità di trovare un impiego rispetto a un inglese. Infine in Olanda, più della metà delle agenzie del lavoro si sono adeguate alle richieste di non prendere in considerazione candidature da parte di cittadini marocchini, turchi o del Suriname.
In generale, anche una volta trovato un lavoro, gli immigrati e le minoranze etniche e religiose hanno meno prospettive di carriera, fanno fatica a denunciare le discriminazioni subite, non si fidano dei sistemi giudiziari dei paesi in cui vivono, devono affrontare processi lunghi e costosi per aver riconosciuti i propri diritti e sono spesso all’oscuro delle leggi che potrebbero proteggerli.
E in Italia la situazione non è per niente più rosea: a pagare il prezzo più alto della discriminazione sul mercato del lavoro sono in particolare rom e sinti, il cui tasso di sottoccupazione nel nostro paese è stimato dalla Croce Rossa al 72% (dalle quattro alle cinque volte di più di un qualsiasi altro gruppo etnico).
Nonostante la scarsità di dati organici, in Italia gli immigrati – pur rappresentando il 7,4% della popolazione e il 9,8% della forza lavoro – sono il 34% dei lavoratori nei cosiddetti “lavori sporchi”, usuranti e pericolosi (in inglese lo chiamano il settore 3D: dirty, demanding and dangerous jobs). Inoltre gli immigrati sono spesso più qualificati del lavoro che ottengono, con un grado di istruzione più alta, meno mobilità orizzontale e verticale e salari più bassi. Gli immigrati maschi vengono pagati in media il 20% in meno degli italiani per lavori analoghi, le donne il 30% in meno. E le leggi attualmente in vigore, col vincolo fra permesso di soggiorno e datore di lavoro, creano una dipendenza del cittadino straniero dal suo datore di lavoro che può dunque minacciarlo e sfruttarlo e spingono gli immigrati verso l’illegalità e il lavoro nero.
Le cose sono ovviamente peggiorate con la crisi economica, che ha portato ad orari di lavoro più lunghi, salari più bassi, straordinari non pagati e rischi maggiori di licenziamento. In italia, i problemi più scottanti sono la sottoqualifica professionale, la paura di rivolgersi alla polizia per segnalare abusi o maltrattamenti, le scarse condizioni di sicurezza e sanitarie, l’impossibilità di ottenere lavori per cui c’è forte domanda da parte di cittadini italiani, il ricatto da parte di datori di lavoro e caporali e la difficoltà di accedere a lavori nel settore pubblico. In generale, la relazione Enar denuncia un isolamento e una marginalizzazione dei lavoratori stranieri che, in settori come l’agricoltura, nel nostro paese ricevono un salario fino al 40% in meno rispetto ai loro colleghi italiani.
L’organismo italiano per la parità di trattamento, l’Unar, dice la relazione dell’Enar, si sta muovendo nella giusta direzione per cambiare le cose, ma da solo non può far molto. Manca una strategia organica e unitaria che coinvolga tutti gli attori per porre fine alla discriminazione e, anche da parte delle organizzazioni della società civile, sebbene vengano portate avanti attività e iniziative lodevoli, non vi è quell’unità di azione e di intenti per far sì che si arrivi a un significativo miglioramento.
Il rapporto Enar fornisce delle raccomandazioni alle istituzioni Ue e ai singoli paesi su come affrontare la discriminazione e il razzismo sperimentato da immigrati e minoranze. A livello europeo si chiede la raccolta di dati sistematici e disaggregati su parità di trattamento e discriminazione sul mercato del lavoro, al di là degli indicatori su occupazione e disoccupazione. Si incoraggiano inoltre le istituzioni europee a redigere linee guida sulla diversità culturale e le differenze religiose sul posto di lavoro. Infine si chiede all’Ue e agli stati membri di garantire, che le leggi che regolano il mercato del lavoro e gli standard lavorativi garantiscano , la parità di trattamento, di paga e di condizioni di lavoro a cittadini comunitari e non, appartenenti e non a minoranze etniche o religiose.
Per l’Italia, oltre a una maggiore quantità e sistematicità di dati e a una strategia unitaria contro la discriminazione in ambito di occupazione, il rapporto Enar chiede che ci sia un’opera di sensibilizzazione delle discriminazioni subite da rom e sinti, che venga utilizzato correttamente il quadro nazionale per l’inclusione di queste minoranze, che gli immigrati vengano trattati come risorse e che il permesso di soggiorno non venga più legato al contratto di lavoro e che l’Unar venga rafforzato.
La relazione chiede inoltre una maggiore sensibilità e formazione dei servizi per l’impiego affinché non discriminino immigrati e minoranze, che l’Italia recepisca appieno tutte le direttive europee in materia di non discriminazione, che vengano riconosciute più facilmente le qualifiche universitarie a cittadini stranieri, che aumentino le ispezioni dell’ispettorato del lavoro specialmente per quanto riguarda lo sfruttamento degli immigrati nel settore agricolo. (Maurizio Molinari)
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