È battaglia per la parità di genere Appello di 90 deputate: approviamola

ROMA — «Nel caso qualcuno avesse dimenticato, l’Italicum è stato approvato dalla direzione del Pd con 111 voti favorevoli, 34 astenuti, nessuno contrario». Non è un promemoria casuale quello che lancia il senatore renziano Andrea Marcucci. Perché da ieri i segnali di inquietudine dentro il Pd hanno raggiunto un livello di guardia per la tenuta della riforma della legge elettorale, che dovrebbe essere varata lunedì o, al più tardi, martedì. La scintilla che potrebbe innescare l’incendio è la parità di genere. Sulla quale un fronte trasversale si batte, scontrandosi contro le difficoltà di Silvio Berlusconi e, di conseguenza, contro quelle di Matteo Renzi, che teme per la solidità dell’intesa. Ma se alla Camera l’ostacolo potrebbe essere superato, già si annunciano venti di guerra al Senato, dove diversi esponenti di spicco della minoranza chiedono di cambiare la legge.
Sulla parità il fronte è sempre più agguerrito. Sono in molte a dire «non arretreremo» e c’è anche una lettera aperta firmata da 90 deputate perché ci sia il via libera. Tra loro c’è anche Rosy Bindi, la prima ad aprire il fuoco in Aula, nella notte di giovedì. Irritata perché, nonostante avesse accettato di ritirare gli emendamenti alla legge (parità di genere esclusa), si è trovata di fronte a un emendamento antipreferenze: «Ma come, mi chiedete di ritirare il mio e poi di votare contro uno che è uguale?». Il malumore della Bindi, però, è più vasto. Considera la legge «un obbrobrio giuridico» e per di più neanche conveniente per il Pd: «Avete visto la lista salva Lega del Sud? È un mostro giuridico, che per di più si ritorce contro di noi». Insomma, «se non passasse neanche la parità di genere», questo potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso: «Renzi dovrebbe sostenerci in questa battaglia, o perlomeno non ostacolarci. Anche perché voglio vedere con che faccia Berlusconi direbbe agli italiani che fa saltare la legge per non dare parità alle donne. Io comunque mi prendo l’8 marzo di riflessione: devo decidere se votare o no questa legge».
Nella vecchia guardia del Pd, si fa sentire anche il presidente della Commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro, che apre il fronte di Palazzo Madama. In un’intervista ad Agorà , spiega che la sua commissione in Senato lavorerà per cambiare la legge, a cominciare dalla parità di genere: «La soglia dell’8 per cento per i partiti che vanno da soli, è molto alta. Per quanto riguarda il premio di maggioranza, una soglia ragionevole è il 40%». Parole che fanno infuriare il suo omologo di Forza Italia alla Camera, Francesco Paolo Sisto: «È grave e sconcertante che voglia mutare il patto sottoscritto dal suo segretario». La Finocchiaro più tardi butta acqua sul fuoco: «Nessuno strumentalizzi le mie parole: rispetterò gli equilibri politici». Ma sulla sua scia sono in diversi gli esponenti democratici inquieti. Come il lettiano Francesco Boccia: «Il mio sì alla riforma elettorale, così com’è, è al 20 per cento». Qualcuno teme che il Nuovo centrodestra voglia «sabotare» la legge, in una sorta di «cupio dissolvi», ma Sisto professa ottimismo: «È una patologia fisiologica». La discussione riprende lunedì alle 9.45 alla Camera con il Comitato dei 9. Una volta varata la legge, bisognerà incardinare la riforma costituzionale del Senato. Renzi ha in mente di farla partire, se tutto va bene, già la prossima settimana.
Alessandro Trocino
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