Escluso un terzo dei disoccupati, autonomi e tanti precari intermittenti

by redazione | 12 Marzo 2014 9:39

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Non chia­ma­telo sus­si­dio uni­ver­sale. Per­che la «Naspi» che oggi sarà uffi­cia­liz­zata dal Con­si­glio dei mini­stri in un dise­gno di legge delega sul mer­cato del lavoro e sugli ammor­tiz­za­tori sociali coprirà poco più di 1 milione e 200 mila lavo­ra­tori. È una «riforma a costo zero», infor­mano le con­suete «anti­ci­pa­zioni» con le quali il nuovo governo ama dis­se­mi­nare il suo per­corso, per­ché è un’estensione dell’indennità di disoc­cu­pa­zione Aspi intro­dotta dalla riforma For­nero e in sca­denza nel 2016. Inte­res­serà fino a due anni 900 mila lavo­ra­tori dipen­denti a ter­mine, som­mi­ni­strati o inte­ri­nali che attual­mente godono della cassa inte­gra­zione in deroga e poco più di 300 mila col­la­bo­ra­tori a pro­getto, oggi esclusi dall’Aspi, che rice­ve­ranno un sus­si­dio fino a sei mesi.
«La» Naspi, il nome di un idrante che nella «Ren­zi­no­mics» viene decli­nato al fem­mi­nile, non è né un red­dito minimo, né un sala­rio minimo. Esclu­derà un terzo degli attuali disoc­cu­pati (oltre 3,3 milioni), non inte­res­serà gli «inat­tivi» (oltre 2,2 milioni), molte forme di pre­ca­riato inter­mit­tente, i lavo­ra­tori auto­nomi. La Naspi non è nem­meno un sus­si­dio con­tro la povertà.
L’ex mini­stro del lavoro Enrico Gio­van­nini aveva pro­vato a isti­tuirlo con l’ex vice-ministro all’Economia Ste­fano Fas­sina, con risul­tati quan­to­meno discu­ti­bili. Dal tur­bine della legge di sta­bi­lità erano usciti solo 40 milioni di euro per i pros­simi tre anni. Una com­mis­sione mini­ste­riale con­vo­cata ad hoc da Gio­van­nini aveva sta­bi­lito il costo di tale sus­si­dio in 7 miliardi di euro all’anno. Il Soste­gno per l’inclusione attiva (Sia) è stato poco più di una «social card» rivi­si­tata. Stesso discorso vale per il «Reis», il red­dito di inclu­sione sociale attiva for­mu­lato dalle Acli e dalla Cari­tas, che Renzi vor­rebbe rea­liz­zare entro la fine della legi­sla­tura. Un’altra «indi­scre­zione» che con­ferma l’ottica assi­sten­zia­li­stica in cui si muove anche que­sto governo, ben lon­tano dal discorso sui diritti fon­da­men­tali a cui sono ispi­rate le idee di red­dito di base o di cittadinanza.La pla­tea degli inte­res­sati alla Naspi dovrebbe essere com­po­sta da chi ha perso un lavoro dipen­dente e ha rice­vuto una busta paga per almeno tre mesi. Il sus­si­dio durerà la metà dei mesi lavo­rati negli ultimi quat­tro anni per un mas­simo di due. Quindi se qual­cuno ha lavo­rato solo tre mesi, avrà un mese e mezzo di sus­si­dio, incas­sando 930 euro. Se invece avrà lavo­rato più di un anno dovrebbe per­ce­pire fino a 1200 euro all’inizio per poi scen­dere a 700.
Sta qui l’aspetto «uni­ver­sa­li­stico» di una misura che si pre­senta in realtà con­di­zio­nata dal numero dei bene­fi­ciari e dalle moda­lità di finan­zia­mento. In attesa di un chia­ri­mento sulle cifre, che forse arri­verà oggi nella con­fe­renza stampa ribat­tez­zata enfa­ti­ca­mente «mer­co­ledì da leoni», si dice che la Naspi coste­rebbe 1,6 miliardi di euro in più dei sus­sidi esi­stenti, a cui biso­gna aggiun­gere i 3,6 miliardi di euro per la Cig (del 2013), per un totale di 8,8 miliardi di euro. Ad oggi, alla Cig in deroga man­cano all’appello 1,1 miliardi (su 3,6), soldi che dovreb­bero essere tro­vati e poi con­fluire nella Naspi. A que­sta incer­tezza si aggiunge un’incognita: per otte­nere la Naspi il lavo­ra­tore dovrebbe rinun­ciare al giu­dice in caso di licen­zia­mento ingiu­sto (a parte il mob­bing). In cam­bio rice­ve­rebbe un com­penso. Appro­vando que­sta misura Renzi ter­mi­ne­rebbe un per­corso di mone­tiz­za­zione dei diritti ini­ziato sin dal tempo di Sac­coni. La stessa idea sta alla base del con­tratto di inse­ri­mento senza le tutele pre­vi­ste dall’articolo 18 per i primi tre anni di lavoro. Que­sto con­tratto non è quello «unico a tempo inde­ter­mi­nato e a tutele cre­scenti» di cui par­lano i ren­ziani.
Quest’ultimo ci dovrebbe essere, ma non nell’immediato. Quasi certa è inol­tre l’ipotesi di allun­gare il con­tratto acau­sale» dagli attuali 12 a 36 mesi. Si tratta di una misura di ultra-precarizzazione, san­zio­nata in Europa, con­tro la quale si è già sca­gliato il giu­sla­vo­ri­sta Pier­gio­vanni Alleva. Ultimo capi­tolo di que­sta riforma che non avrà tempi brevi è la nuova Agen­zia Fede­rale per il Lavoro, risul­tato dell’accorpamento di Isfol e Ita­lia Lavoro, che dovrebbe fun­zio­nare da coor­di­na­mento delle Agen­zie Regio­nali per il lavoro. Enti che non esi­stono in tutte le regioni. Per rea­liz­zare que­sta misura, fun­zio­nale all’istituzione del «work­fare» di cui parla il governo, biso­gnerà rifor­mare il titolo V della Costi­tu­zione e riat­tri­buire le com­pe­tenze delle pro­vince ad oggi perse in un limbo. Que­ste «indi­scre­zioni» La «movida» di Renzi (defi­ni­zione ful­mi­nante di Pier Luigi Ber­sani ieri) dovrà durare molto a lungo per rag­giun­gere tutti que­sti obiettivi

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