Il «nano» Europa alla prova dell’Ucraina

by redazione | 7 Marzo 2014 9:55

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Dopo la caduta del muro di Ber­lino, lo scrit­tore jugo­slavo Pre­drag Mat­ve­je­vic coniò il neo­lo­gi­smo «demo­cra­tura» per defi­nire i nuovi regimi nati dalle ceneri del comu­ni­smo nell’Europa dell’Est. Non si rife­riva solo ai micro­stati sorti dalla dis­so­lu­zione della ex Jugo­sla­via, ma anche agli altri paesi che gra­vi­tano nell’orbita della ex Unione Sovie­tica e, natu­ral­mente, alla Rus­sia e alle repub­bli­che che dell’Urss ave­vano fatto parte per più di 70 anni.
Que­sta «demo­cra­tura» — un mix di demo­cra­zia (appa­rente) e dit­ta­tura (reale), di libertà (gene­rica) e di auto­ri­ta­ri­smo (vero), di diritto (for­male) e oppres­sione (sostan­ziale) — oltre a ben atta­gliarsi alla Rus­sia di Putin si può appli­care agli anni di governo del satrapo ucraino Yanu­ko­vich che invece di rico­struire — dopo la rivo­lu­zione aran­cione del 2004 e la sua vit­to­ria alle pre­si­den­ziali (comun­que cer­ti­fi­cata rego­lare dell’Osce) del 2010 — un clima di con­cor­dia e di unità in un paese diviso in diverse nazio­na­lità e mino­ranze, ha accen­tuato il carat­tere auto­ri­ta­rio, pre­si­den­ziale ed intol­le­rante del suo regime.
Il ritardo e poi l’insabbiamento del pro­cesso di asso­cia­zione dell’Ucraina con l’Unione euro­pea – pre­te­sto delle rivolte popo­lari degli ultimi mesi — è sicu­ra­mente dovuto alle col­pe­voli resi­stenze e ambi­guità di Yanu­ko­vich, ma non biso­gna dimen­ti­care le incer­tezze e le ipo­cri­sie dell’Unione euro­pea, che ha offerto nei mesi scorsi aiuti per 160 milioni di euro per cin­que anni, men­tre Putin ha contro-offerto all’Ucraina 15 miliardi di aiuti facen­do­gli pagare le for­ni­ture di gas un terzo del loro valore reale di mer­cato. Dif­fi­cile anche per Yanu­ko­vich pren­dere la strada euro­pea in que­ste con­di­zioni Però, un paio di giorni fa l’Unione euro­pea — dopo la defe­ne­stra­zione del pre­si­dente ucraino — ha messo a punto un piano di aiuti di 11 miliardi di euro in due anni al nuovo governo di Yatse­nyuk. Improv­vi­sa­mente a Bru­xel­les i soldi si sono tro­vati. E’ chiaro che la par­tita di Kiev ha una natura geo­po­li­tica più ampia, dove gio­cano pesan­te­mente un ruolo le incer­tezze poli­ti­che di Bru­xel­les e l’aggressività di Washing­ton nel dare coper­tura a dei som­mo­vi­menti poli­tici che aprono le strade alla Nato in un’area stra­te­gica per la Fede­ra­zione Russa.
Ai pro­clami demo­cra­tici di Bru­xel­les e di Washing­ton biso­gna affian­care dun­que il cor­poso intrico di inte­ressi mate­riali e geo­po­li­tici con i quali leg­gere in fili­grana quello che sta suc­ce­dendo a Kiev ed in Cri­mea. La reto­rica della demo­cra­zia e dei diritti umani non può offu­scare lo scon­tro di poteri e di inte­ressi che spesso, pur­troppo, mani­po­lano la società civile e l’opinione pub­blica. Il dato di fatto è che per l’ennesima volta l’Unione euro­pea si dimo­stra un nano poli­tico, com­ple­ta­mente subal­terno agli Stati Uniti e alla Nato, nono­stante si tratti di un’area cen­trale per gli inte­ressi e gli svi­luppi della costrui­zione della casa comune euro­pea.
Infine, al di là delle que­stioni più di natura geo­po­li­tica, il con­flitto in Ucraina ripro­pone da una parte il tema irri­solto della tran­si­zione demo­cra­tica non com­piuta in quasi tutti i paesi ex comu­ni­sti e dall’altra con­ti­nua a sol­le­vare il nodo di come costruire la demo­cra­zia in paesi che sono pat­ch­work di nazio­na­lità e di mino­ranze e dove l’ispirazione nazio­na­li­sta delle forze poli­ti­che che si con­ten­dono il potere non può che por­tare al con­flitto e tal­volta alla guerra. Abbiamo visto il disa­stro suc­cesso in ex Jugo­sla­via. E una volta che si dà la stura ad un male inteso prin­ci­pio di auto­de­ter­mi­na­zione delle nazio­na­lità, è dif­fi­cile dire che que­sto vale per il Kosovo, ma non per la Cri­mea. E’ que­sta una visione ipo­crita e mani­chea del diritto inter­na­zio­nale alla quale l’Europa dovrebbe con­trap­porre la forza dell’integrazione e una pra­tica della demo­cra­zia inclu­siva, met­tendo alle porte quei popu­li­smi e quei nazio­na­li­smi che, pur­troppo, non riguar­dano solo Kiev, ma anche — ormai — molte capi­tali europee.

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