Il Quirinale e la riforma

Il Quirinale e la riforma

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Saremmo davvero ingenui se pensassimo che Napolitano non sia grandemente interessato alla legge elettorale. Saremmo altrettanto ingenui se ritenessimo che il Presidente non ha le sue preferenze in materia elettorale.
Chi lo conosce sa che Napolitano ha sempre difeso una qualche proporzionalità fra i voti espressi e i seggi attribuiti ai partiti. Da leader di partito e da parlamentare non si è certo trovato sulla trincea dei referendari e neppure dei maggioritari. Certamente, il bipolarismo sta nella sua concezione della politica tanto quanto sta la sua visione di una democrazia parlamentare. È molto difficile, quindi, pensare che non abbia espresso le sue opinioni ogniqualvolta è stato – certo, in maniera riservata – interpellato a proposito della riforma elettorale e delle altre riforme istituzionali e costituzionali. In occasione della Festa delle donne, ha anche manifestato pieno appoggio alla richiesta di parità di genere nelle liste elettorali. Peraltro, la parità può essere acquisita in molti modi e quello che si va profilando, se lo schieramento trasversale delle donne avrà successo, non è necessariamente il migliore.
Può anche darsi che il Presidente abbia espresso la sua contrarietà all’importazione del sistema elettorale spagnolo facendo valere, afferma oggi uno dei parenti non troppo lontani del progetto di legge elettorale in discussione alla Camera, la sua «moral suasion». Se di esercizio di sola persuasione si tratta, allora la responsabilità di avere abbandonato quella che, comunque, appariva una confusa imitazione di un sistema elettorale che elegge soltanto 350 deputati, che non riguarda il Senato, che si accompagna all’elezione del Capo del governo in Parlamento con il meccanismo del voto di sfiducia costruttivo, che sta nel contesto di una monarchia costituzionale, rimane tutta dei prolifici riformatori elettorali che avevano presentato al Presidente almeno altre due alternative. Poi, il progetto attualmente in discussione non discende da nessuna di quelle, peraltro non migliori, alternative. Il punto di questa escursione nelle asserite preferenze elettorali del Presidente è duplice: da un lato, riconoscere che il Presidente ha la facoltà di valutare, di sostenere e di sconsigliare ogniqualvolta lo desideri, tutte le volte che glielo viene richiesto, ma anche di sua spontanea volontà; dall’altro, ricordare che coloro che chiedono sostegno sanno a quali condizioni possono ottenerlo e coloro che desiderano consigli presidenziali non sono affatto obbligati ad attenervisi. In una democrazia pluralista è poi anche giusto, persino opportuno che coloro che hanno competenze ed energie si attivino per sostenere un progetto di legge oppure per contrastarlo, come hanno fatto con un apposito documento alcuni giuristi che intravvedono nel progetto in discussione alcuni persistenti elementi di incostituzionalità proprio alla luce della sentenza n. 12014 della Corte costituzionale. Toccherà poi al Presidente, come lui stesso ha già dichiarato, valutare con la massima attenzione anche le motivazioni e i tentativi di “persuasione” degli oppositori della legge prima di procedere alla sua promulgazione. Incidentalmente, pur rilevando i molti inconvenienti della legge vigente, la Corte non aveva dato nessuna importanza alla tematica parità di genere. Questo non significa che la tematica non esista, eccome, ma credo che siano i meccanismi e, in particolare, il permanente potere di nomina dei parlamentari a opera dei capi dei partiti (e delle correnti) che dovrebbero essere messi in discussione. La mia risposta non è tornare al voto di preferenza, ma introdurre i collegi uninominali. Nell’incombente, nient’affatto deplorevole e tanto meno incostituzionale, presenza del presidente della Repubblica nei procedimenti di riforma elettorale, istituzionale e costituzionale, colgo l’imprescindibile necessità di ridefinire meglio ruolo e compiti della figura presidenziale. Quella figura che, nelle autorevoli parole di un presidente della Corte, tanto prudente quanto colto come fu Livio Paladin, i Costituenti hanno definito in maniera «indeterminata» e che, ancora nelle parole di Paladin, potrebbe evolvere «magari nell’ottica di un sistema semi-presidenziale alla francese» (che, naturalmente, richiederebbe una legge elettorale appropriata). Probabilmente contro la sua volontà, è la stessa azione di Napolitano che, influenzato dalle circostanze, ha oramai posto il problema.


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Giorgio Napolitano

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