LA DEBOLEZZA DI PIAZZA MAJDAN

LA DEBOLEZZA DI PIAZZA MAJDAN

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Bernardo Valli, la Repubblica

KIEV. È UN po’ smarrita la gente della Majdan. Non le ha certo rimontato il morale la notizia che la Marina nazionale basata in Crimea, con l’ammiraglio in testa accusato di alto tradimento, è passata agli ordini delle autorità filo russe locali, fuorilegge per Kiev.
UNA defezione senz’altro provocata dai russi che nella penisola meridionale sul Mar Nero ormai si comportano da padroni. La Majdan, la Piazza, sembrava fino a pochi giorni fa l’ombelico del mondo, il centro di un’insurrezione che aveva cacciato un presidente corrotto, e con lui spazzato via un regime alleato della vicina intoccabile potenza. C’era di cui essere fieri. Uno schiaffo di Kiev a Mosca meritava almeno un paragrafo nei libri di storia. Putin umiliato era la prova che l’orgoglio nazionale infonde audacia.
Adesso però la Piazza sta per ritornare ad essere una semplice bella piazza. Non si è arresa. Non è impaurita. Ma è appunto smarrita. Il morale è basso. Le bandiere afflosciate dalla pioggia non sono state ammainate. Nei comizi improvvisati risuonano parole di fuoco. Ma le decisioni si prendono altrove. Il nuovo governo, i cui ministri sono stati esposti al giudizio della Majdan prima che al voto del Parlamento, nelle ultime ore ha deliberato a porte chiuse. Senza riferire il dibattito alla piazza. Ha preso decisioni indispensabili ma prudenti. Non rivoluzionarie come pretendeva un tempo la gente sulle barricate.
Il primo ministro, Arseni Yatseniuk, aveva il volto segnato, esibiva una giustificata espressione drammatica, quando ha detto che la Russia «ha dichiarato la guerra» all’Ucraina. E di conseguenza è stato deciso di richiamare una parte dei riservisti e di mettere in stato d’allerta le forze armate affinché proteggano le centrali nucleari e le principali installazioni pubbliche. Ma non si è parlato di stato di guerra da opporre alla denunciata aggressione russa in Crimea. Kiev non vuole offrire pretesti al Cremlino.
«Evitiamo di provocare i provocatori », dice un deputato della Patria, il partito del primo ministro, davanti al colonnato neoclassico del Parlamento, mentre è in corso la sessione straordinaria. A suo avviso, ed anche per il governo, la via diplomatica è la sola possibile. Il cancelliere tedesco svolge un ruolo essenziale. Infatti Angela Merkel parla con Vladimir Putin e con Yulia Tymoshenko. Un incontro tra i due antagonisti che si stimano è prematuro. Si è parlato con insistenza di una visita al Cremlino dell’ex primo ministro ucraino da poco uscita di prigione, ma adesso apparirebbe un atto di sottomissione. Per quelli della Majdan un tradimento. Yulia Tymoschenko non rappresenta soltanto se stessa ma inevitabilmente il governo, i membri più importanti, e lo stesso primo ministro, essendo della Patria, il suo partito. Angela Merkel è tuttavia un messaggero tenace e alla prima schiarita potrebbe realizzare l’incontro Putin- Tymoshenko o chi per lei.
Il governo è convinto che i russi stiano applicando un piano preparato con cura. Nulla è accaduto a caso in Crimea quando unità russe senza mostrine e bandiere hanno preso il controllo di edifici e punti strategici. È stata un’operazione astuta anche sul piano politico. È infatti difficile parlare di un’invasione, dal momento che i soldati provenivano dalla base navale russa di Sebastopoli (dove si trovano in permanenza quasi quindicimila uomini) e quindi non hanno violato nessuna frontiera nazionale e possono rientrare alla svelta quando il Cremlino riterrà che la popolazione russa della provincia autonoma «non sarà più in pericolo». Adesso la Crimea è sotto il controllo di Mosca e il futuro auspicato per la penisola sarà rivelato dal quesito posto al referendum in programma il 30 marzo. Per ora si parla di un’autonomia più accentuata di quella attuale. Putin scopre le carte una alla volta.
Preparate con altrettanta cura sarebbero le manifestazioni pro russe nelle province orientali, in particolare a Dnipropetrovsk, a Donetsk, a Lugansk e a Kharkiv, zone industriali e minerarie dove, oltre alle origini della maggioranza della popolazione, sono russi anche gli investimenti. Il trenta per cento del commercio e la quasi totalità dell’energia dipendono dalla Russia. Mosca paga l’affitto della base navale di Sebastopoli
col gas.
Il governo ucraino scopre via via la propria debolezza. Anzitutto sente che l’appoggio della Majdan, una settimana fa decisivo, è adesso quello di una minoranza. La stessa Kiev, più che la capitale nazionale, è un compromesso tra le varie anime del paese. Non è dunque la sicura roccaforte della rivoluzione. Sono dubbi alimentati dallo sconforto dopo tre mesi di esaltazione. La fragilità dell’esecutivo provvisorio è anche nei mezzi di cui dispone. L’economia è da tempo in recessione e le finanze sono state saccheggiate dal vecchio regime. Settanta miliardi di dollari sono stati trasferiti all’estero negli ultimi anni.
Gli strumenti militari restano un’incognita. Le Forze armate sono di un buon livello. Nel 1991, quando è implosa l’Unione Sovietica e la Repubblica ucraina, che ne faceva parte, è diventata indipendente, l’esercito nazionale è stato ricavato da quella che era stata l’Armata rossa. Così l’aviazione e la Marina. Gli specialisti hanno sempre espresso giudizi positivi, mettendo tuttavia in rilievo col tempo il deterioramento del materiale non sempre rinnovato. I rapporti tra militari russi e ucraini sono stati messi seriamente alla prova negli ultimi giorni, quando Vladimir Putin ha appesantito la crisi, con le manovre al confine e l’operazione
Crimea. Le defezioni non sono mancate. In particolare nella Marina. Il nuovo governo ha cambiato il capo di Stato maggiore: venerdì ha nominato il generale Mykhailo Kotsin, sostituendo l’ammiraglio Ilvyn rifugiatosi nella Crimea dissidente, dove sarebbe stato colto da un infarto. L’esercito si è dichiarato neutrale durante il confronto politico. Se messo alla prova nei suoi ranghi potrebbero rispecchiarsi le divisioni della società, tra filo russi e ucraini. In caso di emergenza, vale a dire se Putin dovesse decidere l’invasione già legittimata dal Parlamento, non sono in pochi a pensare alla formazione di milizie, destinate a un’azione di guerriglia. Ma nessuno osa esternare un’idea del genere che apparirebbe una provocazione. Questa possibilità è senz’altro presa in considerazione anche dai russi e funziona da deterrente.



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