L’Europa al tempo dell’impopolarità
BEPPE Grillo ha incitato a recuperare «l’identità di Stati millenari, come la Repubblica di Venezia o il Regno delle Due Sicilie». Perché l’Italia sarebbe solo un’arlecchinata di popoli, lingue e tradizioni. In altri termini: non esiste. Solo la Lega, fino ad oggi, si era spinta a tanto. E non a caso Matteo Salvini ha sottoscritto entusiasticamente queste affermazioni. Ma a Grillo la Lega non interessa.
E, IN fondo, non gli interessano neppure i suoi voti, visto che, in larga misura, li ha già intercettati alle elezioni dell’anno scorso. A Grillo e al suo ideologo, Gianroberto Casaleggio, interessa, piuttosto, avviare la campagna anti-europea in vista delle prossime elezioni di fine maggio. D’altronde, il legame fra il progetto anti-europeo e quello macro-federalista, spinto all’estremo, nella percezione sociale, è molto stretto. La componente di chi ritiene che «Nord e Sud sono troppo diversi e dovrebbero andare da soli», infatti, cresce in base alla fiducia nella Ue. Nel passaggio fra il livello minore e maggiore di fiducia, raddoppia: dall’8% al 16% (sondaggio Demos, ottobre 2013).
D’altronde, la Ue è una Unione di Stati nazionali, non di popoli. Non a caso, negli anni Novanta, la Lega cambiò atteggiamento al proposito, dopo la svolta secessionista del 1996.
Che la Ue condannò in modo aperto. Fino ad allora, invece, la Lega, come recitavano i suoi slogan, aveva guardato «più vicino all’Europa più lontano dall’Italia ». Da Roma. D’altronde, anche il messaggio di Grillo appare, soprattutto, anti-romano. Rivolto contro l’Italia dei partiti e delle burocrazie. Del Palazzo. E, a differenza della Lega, evoca la Repubblica di Venezia e il Regno delle Due Sicilie. Il Nord e il Centro-
Sud. Dove il M5S ha ottenuto molti consensi. In vista delle prossime elezioni europee, intende tenere insieme l’anti-centralismo “romano” (e italiano) con l’anti-europeismo. Un sentimento che sta crescendo in modo rapido. In Italia, infatti, la fiducia nella Ue, rispetto al 2000 – alla vigilia dell’introduzione dell’Euro – è, letteralmente, dimezzata. Dal 57% al 29%, rilevato nelle ultime settimane (Sondaggio
Demos). E negli ultimi mesi, da settembre 2013 ad oggi, è caduta di 5 punti. Toccando il punto più basso rilevato da quando il processo di costruzione dell’Unione Europea è stato avviato. Fin qui, tuttavia, si è tradotto, soprattutto, sul piano economico e, soprattutto, monetario. L’Europa, cioè, si è trasformata in un soggetto freddo, lontano. Una moneta senza Stato e senza politica. Senza identità
e senza passione. È stata percepita, dunque, come un problema più che una risorsa. Un Grande Esattore, senza volto, se non quello della Merkel (e delle Banche), che esige senza garantire nulla. Per questo, ormai, pressoché un terzo degli italiani (per la precisione, il 32%) si dice d’accordo con l’affermazione che sarebbe meglio «uscire dall’euro e tornare alla lira». Si tratta di un atteggiamento che abbiamo
già testato e spiegato in passato. Gli italiani accettano l’Europa dell’euro per forza. E per paura. Temono, cioè, che uscirne sarebbe pericoloso. Ma, al tempo stesso, guardano alla Ue e alla sua moneta con insofferenza crescente. Di giorno in giorno. Come si coglie ricomponendo gli orientamenti verso la Ue e verso l’euro in un unico profilo. Dal quale emerge che, in Italia, il peso degli europeisti (29%),
che hanno fiducia nella Ue, supera di poco quello degli antieuropei (27%). Che si oppongono all’Euro e non credono nella Ue. Mentre gran parte degli italiani (44%) si rifugia in un atteggiamento euroscettico oppure eurocritico. Sopporta, cioè, l’euro senza aver fiducia nella Ue. Ma, visto che la Ue, nella percezione (non del tutto distorta) dei cittadini, coincide, in larga misura, con il sistema monetario, ecco che il sentimento dominante, fra gli italiani, è la sfiducia verso l’Europa – della moneta e, insieme, dei governi e degli Stati Nazionali. È, peraltro, interessante osservare come il maggior grado di anti-europeismo si raggiunga fra gli imprenditori e i lavoratori autonomi: 43%. Un dato, in effetti, altissimo. Come quello delle casalinghe (44%) e dei disoccupati (38%). Mentre il maggior livello di europeismo si incontra, invece, fra gli studenti (43%), i liberi professionisti (48%) e fra gli impiegati del settore pubblico (39%). Sul piano territoriale, l’anti-europeismo è spalmato dovunque. Raggiunge il massimo livello nel Mezzogiorno e nel Nordovest (quasi 30%), mentre è un po’ meno diffuso nel Centro e nel Nordest (dove, comunque, supera il 20%). Insomma, il sentimento anti-europeo fornisce un bacino elettorale molto ampio, in vista delle prossime elezioni. Che hanno l’Europa come ambito e come posta in palio. I “Grilli d’Europa”, d’altronde, sono molti (come titolava Le Monde ancora un mese fa). I partiti antieuropei e anti-euro. Che potrebbero attingere anche dal grande serbatoio del sentimento euroscettico ed eurocritico. Fino ad oggi si è travasato nell’astensione. Oppure in un voto ispirato alla logica del “meno peggio”. Per paura. Ma potrebbe, in questa occasione, scegliere il voto di protesta oppure di “avvertimento”. Per esprimere la propria insoddisfazione e la propria delusione verso un’Europa identificata con i mercati, con lo spread e la crisi. D’altronde, già adesso vi sono partiti il cui elettorato è in ampia misura anti-europeo. Oltre alla Lega (53%), che ormai pesa poco (3-4%), il M5S, appunto, e, insieme, FI (entrambi: 37% di anti-europei e altrettanto di euroscettici). È lecito attendersi, dunque, che i richiami al federalismo macroregionalista e, implicitamente, anti-europeo, si rinnovino, sempre più accesi. Non solo da parte di Grillo e della Lega, ma anche di Berlusconi. In fondo, condividono il bacino elettorale anti-europeo, molto ampio. Che ha grandi margini di espansione, vista la contiguità con l’area degli euroscettici. Di certo, stavolta, contrastarli sarà difficile. Perché l’europeismo è poco popolare. Sostenuto per paura più che per convinzione. E per sfidare gli anti-europei sullo stesso terreno, in modo efficace, ci vuole il fisico…
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