Mafie e sicari contro i giornalisti. Addio libera Hong Kong

HONG KONG — Non è stato difficile arrivare a Kevin Lau, l’ex direttore del Ming Pao pugnalato sei volte alla schiena e alle gambe il 26 febbraio in una tranquilla strada di Hong Kong. All’ufficio informazioni dell’Eastern Hospital un impiegato si fa ripetere il nome, controlla l’elenco e scrive su un foglietto: 8° piano, blocco F, stanza n° 2, poi indica l’ascensore senza fare domande. Saliamo, davanti al reparto terapia postoperatoria l’odore forte dei fiori: sono ammucchiati intorno a un tavolo che sembra un altare. Sulla parete decine di biglietti di auguri in cinese e inglese: «Tieni duro direttore», «We shall overcome». La porta della corsia è chiusa, davanti c’è un poliziotto abbandonato sulla sedia. «Siamo amici del direttore». L’agente si alza, digita il codice sulla porta e ci accompagna, dandoci le spalle. In una fondina dietro la cintura esibisce una pistola a tamburo: il primo segno di sicurezza intorno a un uomo che è stato a un centimetro dalla morte ed è al centro di un caso che sta scuotendo Hong Kong e la sua già tesa relazione con la madrepatria cinese.
Davanti alla stanza del paziente altri tre agenti armati. Intorno al letto colleghi, il fratello, la moglie Vivian, anche lei giornalista. Kevin Lau è ancora pallidissimo, sta raccontando agli amici di aver ricevuto quattro litri di sangue: «Sangue nuovo, uomo nuovo», mormora e tutti ridono. Poi ricorda: «Sono salvo per un centimetro, un osso ha deviato il coltello. Ho le ossa dure io…». Vorremmo chiedere perché lo hanno aggredito con un pugnale lungo sedici centimetri. Una vendetta per le inchieste sulla corruzione a Hong Kong e in Cina pubblicate dal Ming Pao ? Era appena stato rimosso dalla direzione, una decisione politica? Il fratello, con una mascherina da sala operatoria davanti alla bocca ci saluta: «Non può parlare ora, leggete il Ming Pao , Kevin riprenderà a scrivere, racconterà lui».
L’agguato si è svolto a Tai Hong Street. Alle 10.30 del 26 febbraio Kevin Lau, 49 anni, era passato a fare colazione al solito posto. Il punto dove è stato pugnalato per sei volte è a cento passi dal comando della Maritime Police, una strada elegante dove ora sono parcheggiate una Ferrari e una Rolls. Il sicario è sceso dalla moto guidata da un complice, ha colpito, è risalito ed è fuggito.
La polizia di Hong Kong ha sostenuto subito che lo stile è delle Triadi, le organizzazioni mafiose cinesi. Ha spiegato che l’obiettivo non era uccidere, ma punire: i fendenti alle gambe hanno tagliato tendini e nervi, Kevin Lau non potrà camminare per almeno due anni. Dopo giorni di polemiche per la passività degli investigatori, mercoledì il capo della polizia Andy Tsang ha chiamato la stampa e ha annunciato: nove arresti, sette a Hong Kong e due a Dongguan in Cina, la città del vizio e del sesso. Ieri altri due arresti. I due sicari hanno ricevuto un milione di dollari hongkonghesi a testa (100 mila euro) per il lavoro sporco: «L’ordine era di lasciarlo invalido ma vivo. E non abbiamo trovato legami tra l’agguato e il suo lavoro di giornalista, ma neanche altri motivi per ora».
«La mia famiglia ed io non siamo coinvolti in alcuna faccenda finanziaria, in nessuna storia extra-coniugale. Mi hanno colpito per come dirigevo il giornale», ha risposto con un comunicato Kevin Lau.
A Hong Kong non abbiamo trovato nessuno disposto a credere alla versione della polizia. Dice Phyllis Tsang, reporter del Ming Pao : «Sì, lo stile è da Triadi, ma chi è il mandante? La proprietà ci aveva comunicato la rimozione di Kevin il 6 gennaio; sostituito da un nuovo direttore malaysiano, uno che non conosce bene Hong Kong. Uno choc, pensiamo che l’editore voglia cambiare la linea». Sham Yee-lan è la presidentessa della Journalist Association della città: «Ci sono 25 giornali che vendono tre milioni di copie al giorno a Hong Kong, su sette milioni di abitanti. La stampa qui è sempre stata importante. Ora Pechino vorrebbe il cuore della gente di qui e per questo cerca di controllare l’informazione. A diversi proprietari di quotidiani, radio e tv sono stati concessi incarichi politici dal governo centrale cinese. E a quelli che non si adeguano viene tolta la pubblicità. L’Apple Daily , molto critico con la politica cinese, l’anno scorso ha perso 20 milioni di euro di pubblicità. Intere campagne cancellate da banche e aziende statali. Un assedio, Hong Kong era al 18° posto nel mondo per libertà di stampa nel 2002, ora è caduta al 62° e peggiora sempre».
Perché ora? Tutto sommato il ritorno alla madrepatria nel 1997, dopo l’era coloniale britannica, era andato bene con la formula di transizione «Un Paese due Sistemi». «Si sta decidendo il futuro: nel 2017 dovrebbero svolgersi elezioni a suffragio universale, in base agli accordi; ma Pechino vuole controllare la selezione dei candidati, per questo le serve anche una stampa amica. Vogliono farci scegliere tra una mela bacata e un’arancia marcia», spiega il professore di scienze politiche Joseph Cheng della City University.
Non è d’accordo Jia Xi Ping, direttore di Ta Kung Pao , giornale filo-cinese. Jia arriva dal Quotidiano del Popolo , organo comunista di Pechino. «Assalto alla libertà di stampa? Non lo vedo. Hong Kong è tornata alla Cina da 17 anni, è naturale che l’influenza di Pechino sia cresciuta. Non nego che ci siano differenze culturali tra una storia di capitalismo e una di comunismo. Ma il problema è che qualcuno pensa che Hong Kong possa votare come una nazione indipendente: non lo è». Su Kevin Lau però, anche al giornale comunista non hanno dubbi: «Un gentleman, l’aggressione c’entra con il suo lavoro», ci assicura la editorialista Yip Chug Man.
I colleghi di Kevin Lau hanno dato alla polizia una decina di servizi pubblicati dal giornale negli ultimi tempi. C’è anche la famosa inchiesta di gennaio sui conti segreti di miliardari e politici cinesi e hongkonghesi rintracciati alle British Virgin Islands. E molti altri casi locali e non. «Purtroppo la polizia di qui non è mai stata capace di risolvere i casi di aggressione ai giornalisti, c’è stato chi ha avuto le dita tagliate, chi è stato colpito con mazze, migliaia di copie bruciate, cercano di cavarsela con “motivi personali” anche per Kevin», dice lo scrittore Ching Cheong. Ma perché accoltellare un ormai ex direttore, dopo che la storia sui conti segreti alle Virgin Islands è uscita? «Ci sono migliaia di documenti su quei conti ancora da pubblicare, le sei coltellate a Kevin sono un avvertimento a rinunciare a una seconda puntata». «Badi bene, non sto accusando il governo di Pechino, ma qualcuno che non vuole altre rivelazioni».
Ultima tappa nell’ufficio di un uomo con un passato nei servizi segreti occidentali. Niente nomi: «Devo passare da Pechino tra qualche giorno…». Spiega: «Ho studiato un po’ il caso: la pista, dai conti delle Virgin Islands, arriva fino al grande scandalo di corruzione per la costruzione della ferrovia ad alta velocità in Cina, roba di miliardi. Anche su questo aveva indagato Ming Pao. Le Triadi sono state il braccio, ma il motivo dell’agguato è fuori da Hong Kong».
Come finirà? Lo scrittore Ching Cheong scuote la testa: «Un Paese, un sistema. Addio a Hong Kong e alla sua stampa libera».
Guido Santevecchi
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