Ritorno al 1977, record dei senza lavoro: 12,9%

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Roberto Ciccarelli,

«Cifra allu­ci­nante, subito il Jobs Act» ha twit­tato ieri il pre­mier Renzi quando l’Istat ha regi­strato il nuovo record della disoc­cu­pa­zione dall’inizio delle serie sto­ri­che nel 1977. A gen­naio il tasso gene­rale di disoc­cu­pa­zione è bal­zato al 12,9%, quello gio­va­nile è arri­vato al 42,4%. Una pro­gres­sione inar­re­sta­bile, e ampia­mente pre­vi­sta: +0,2% rispetto a dicem­bre per il primo, + 0,7% per il secondo. Sia pure con­dotto sul cam­pione ristretto dei 15-24enni, 690 mila per­sone, quest’ultimo balzo con­ferma che i sog­getti più col­piti dalla crisi sono i gio­vani, in par­ti­co­lare quelli del sud dove il tasso di occu­pa­zione si era fer­mato al 10,7% nel quarto tri­me­stre 2013 (-1,9%) con­tro il 20% del Nord.
La disoc­cu­pa­zione si è atte­stata nel Mez­zo­giorno al 55,3% tra i gio­vani (-4,8%) con­tro il 35,3% del Nord. Gli «inat­tivi», coloro cioè che non cer­cano più lavoro, sono il 76% al Sud e il 69,2% a Nord. In ter­mini ten­den­ziali, il numero dei disoc­cu­pati tra i gio­vani cre­sce sia per le donne che per gli uomini, rispet­ti­va­mente dell’1,6% e del 2,1%. Nell’ultimo anno, secondo l’Istat, la disoc­cu­pa­zione è aumen­tata dell’1,1% su scala nazio­nale. Dal 2012, 478 mila per­sone hanno perso il lavoro (-2,1%). Dall’inizio della crisi nel 2008, ci sono 984 mila disoc­cu­pati in più. I disoc­cu­pati in Ita­lia sono quasi 3,3 milioni di per­sone, 1 milione e 450 mila sono nel mez­zo­giorno. L’Istat segnala inol­tre il crollo dell’occupazione anche tra i pre­cari. Gli «ati­pici», così ven­gono defi­niti, sono dimi­nuiti di 197 mila unità. Quest’ultimo dato è pro­ba­bil­mente il più signi­fi­ca­tivo dell’ultimo bol­let­tino di guerra comu­ni­cato dall’Istat.
Tutte que­ste per­sone dovranno aspet­tare che il governo Renzi pre­senti il Jobs Act prima a Angela Mer­kel il pros­simo 17 marzo in un ver­tice bila­te­rale italo-tedesco pre­vi­sto a Ber­lino. Que­sto almeno risulta dall’agenda attuale di Renzi, uno sgarbo che ha irri­tato i sin­da­cati in Ita­lia ma che riflette sin­to­ma­ti­ca­mente l’assetto vigente dei poteri reali in Europa. La riforma del lavoro, nel segno di una nuova fles­si­bi­lità (come se quella esi­stente ancora non bastasse), asse­conda le richie­ste del Fondo Mone­ta­rio Inter­na­zio­nale, della Com­mis­sione Ue e dei fal­chi dell’austerità che risie­dono in Ger­ma­nia. Con la rea­zione d’istinto comu­ni­cata ai suoi 910 mila fol­lo­wers su twit­ter, Renzi ha inol­tre rin­no­vato l’illusione per cui basta intro­durre un nuovo con­tratto di inse­ri­mento, sospen­dendo l’articolo 18 per tre anni a bene­fi­cio delle imprese, per creare nuova occu­pa­zione.
Dalle rea­zioni ai 140 carat­teri scritti da Renzi emerge il con­sueto equi­voco. Sem­bra che negli ultimi due anni il Pd e il Pdl (Forza Italia+Nuovo Cen­tro Destra) non abbiano mai gover­nato con le lar­ghe o le pic­cole intese soste­nendo prima Monti, poi Letta e oggi Renzi. Mau­ri­zio Sac­coni, ex mini­stro del lavoro fino al 2011, sem­bra ad esem­pio un mar­ziano quando adde­bita, giu­sta­mente, le ragioni della cata­strofe occu­pa­zio­nale alla riforma For­nero. Una riforma votata insieme al Pd e con il silen­zio dei sin­da­cati nel 2012.Oggi la solu­zione della destra al governo con Renzi è quella di con­ti­nuare a pre­ca­riz­zare il lavoro, sospen­dendo i diritti sui nuovi con­tratti di inse­ri­mento, impro­pria­mente defi­niti «con­tratto unico» nel «Jobs Act».
Restano molto più vaghe le idee sul repe­ri­mento delle risorse neces­sa­rie a finan­ziare il sus­si­dio uni­ver­sale di disoc­cu­pa­zione, pro­ba­bil­mente un’estensione dell’Aspi isti­tuita dalla riforma For­nero. Sulla neces­sità di fare inve­sti­menti pub­blici per far ripar­tire la cre­scita, e finan­ziare il taglio al cuneo fiscale da 10 miliardi di euro, si è sof­fer­mata la Cgil o il lea­dero della mino­ranza Pd Cuperlo. Varie sono le ipo­tesi: usare gli 85 miliardi di euro dei fondi Ue 2014–2020, Con­fin­du­stria rinun­ce­rebbe agli incen­tivi in cam­bio del taglio dell’Irap. Il mini­stro del lavoro Poletti ha invece riba­dito i prin­cipi neo­li­be­ri­sti della «Ren­zi­no­mics»: favo­rire gli inve­sti­menti delle imprese, ridurre il cuneo fiscale e «miglio­rare l’efficienza del mer­cato del lavoro», oltre a ride­fi­nire gli ammor­tiz­za­tori sociali.


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