Il ritorno in pista di Yulia (a tempo scaduto)

by redazione | 29 Marzo 2014 9:38

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Yulia Tymoshenko è tornata e si gioca tutto, il futuro ma anche il passato. Le prime parole da candidata alla presidenza, pronunciate nel giorno dell’accordo tra Kiev e il Fondo monetario internazionale, vanno dritte al punto: «Lavorerò per l’unità dell’Ucraina». Traguardo ambizioso nel Paese che ha appena perso la Crimea e che guarda le truppe russe ammassarsi minacciose al confine Est. Obiettivo imprescindibile per la donna che si proponeva come madre della nazione, la rivoluzionaria imprigionata che incarnava le sofferenze di un popolo calpestato e che ora deve scontare un percorso ventennale, il passaggio da principessa del gas a leader politica, i legami con un establishment dilaniato da lotte di potere e corruzione.
Non è stato il ritorno trionfale che aveva sognato nei due anni e mezzo di detenzione terminati lo scorso 22 febbraio, nelle ore convulse della fuga del presidente Viktor Yanukovich e della nascita del nuovo governo. Ha ritrovato il popolo di piazza dell’Indipendenza che nella rivoluzione arancione del 2004 si era inginocchiato al fascino messianico-rurale di quella bionda treccia preludio di un’autoincoronazione. Ma sulla Maidan che nel 2014 ha visto morire cento dei «suoi», non volava la stessa fede incondizionata. Per la conferenza stampa che nei giorni scorsi ha lanciato la sua candidatura alle elezioni del prossimo 25 maggio, la 53enne Tymoshenko, reduce da cure in Germania per un’ernia del disco che la costringe a usare ancora le stampelle, ha scelto uno stile dimesso, i capelli raccolti in un sobrio chignon, giacca color ghiaccio, gonna nera al ginocchio. Neutralità e moderazione: quel che è mancato alla sua storia di ragazza di umili origini cresciuta senza padre nell’Est profondo di Dnipropetrovsk, la città fondata alla fine del Settecento in onore di Caterina II di Russia.
Proprio in quel mondo di cultura e lingua russa dal quale si allontanerà radicalmente comincia la scalata di Yulia nata Grigian (secondo la versione ufficiale la famiglia paterna ha origini lettoni), l’imprenditrice che nella giungla delle privatizzazioni post-sovietiche non esita ad addentrarsi nel sottobosco dove politici e oligarchi stringono patti di sangue, assecondando quell’ubriacatura collettiva fino a diventare la donna più ricca del Paese. Dalla Maidan lancia l’attacco frontale a Yanukovich e si trasforma in Yulia la filoeuropea, la pasionaria antirussa; sarà primo ministro ma non presidente, sconfitta alle elezioni del 2010.
È al mondo del suo passato che torna a rivolgersi ora che proclama: «L’Ovest e il Centro hanno sempre votato per me, però io vengo dall’Est». Estremo tentativo di ricucire gli strappi di un Paese che ricorda con amarezza il progetto arancione, naufragato nella guerra intestina tra gli ex alleati Yushchenko e Tymoshenko, e che esce dolorosamente provato dall’ultima rivolta per un’Ucraina più democratica e più giusta. Già ai tempi della rivoluzione del 2004, Yulia piaceva ai più radicali, oggi i moderati faticano a fidarsi. Il blocco che si riconosceva in lei fino a pochi mesi fa ha perso la leadership delle opposizioni ormai frantumate.
Pesano episodi come la conversazione telefonica intercettata e diffusa in Rete in questi giorni: le parole della Tymoshenko pronta a imbracciare «il kalashnikov contro i russi» e Putin, anche se decontestualizzate e date in pasto senza troppi distinguo alla stampa di Mosca, sono un duro colpo che stride con la sua nuova immagine conciliante e che le ha già alienato molte simpatie in Occidente.
Di fatto i processi politici che l’hanno tenuta lontana dalla politica e dal territorio, la condanna per abuso di potere legata agli accordi con Mosca per quel gas che ha segnato il suo destino, la generale percezione di una promessa mancata hanno gravemente compromesso la sua posizione. Amaro bilancio di una stagione che non le consente di presentarsi come una perseguitata e le impone di camminare su un terreno minato. Pur non essendo dei veri outsider, i suoi rivali alle presidenziali — l’oligarca Petro Poroshenko, l’ex pugile Vitali Klitschko, il banchiere Sergei Tigipko — godono di un vantaggio: non portano il peso di una storia personale tanto ingombrante nella vita pubblica ucraina. Negli ultimi sondaggi Tymoshenko è solo terza dietro Poroshenko e a poca distanza da Klitschko. Un messaggio di unità e accoglienza è il solo adatto a un Paese che non crede alla propria classe politica e non sa cosa aspettarsi dall’Occidente invocato dalle nuove autorità né dalla Grande Madre Russia accorsa in aiuto dei «suoi» figli in Crimea. Nel discorso di candidatura Yulia si è concessa una sola incursione negli accenti battaglieri di un tempo: «Vladimir Putin è il nostro nemico numero uno».
Maria Serena Natale

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