La terra dell’inquinamento, il falò delle verità

La terra dell’inquinamento, il falò delle verità

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La parola d’ordine è: minimizzare. L’inquinamento, le colpe, l’entità del disastro. Solo il due per cento dell’area tra Napoli e Caserta è avvelenata dai rifiuti. Uno spicchio microscopico. Una bugia paradossale. Sembrano archiviati i morti di cancro. Ma non si bonifica il suolo malato e maleodorante con la ragion di Stato

Il presente falsificato genera un futuro malato. La storia si vendica”. Mi sono venute in mente le parole dello scrittore polacco Slawomir Mrozek quando ho letto il documento della commissione interministeriale sui “Risultati delle indagini tecniche per la mappatura dei terreni destinati all’agricoltura della Regione Campania”. La parola d’ordine di questa operazione è una sola: minimizzare. Minimizzare l’emergenza connessa all’inquinamento dei suoli in Campania. Minimizzare l’entità dei danni subiti dall’ambiente. Minimizzare l’impatto che l’inquinamento ha sulla vita e sulla salute delle persone. Minimizzare le colpe di chi si è reso responsabile e complice di questo disastro. Minimizzare l’entità del disastro.
Ma per gettare luce sul presente falsificato, dobbiamo capire come è stato prodotto questo documento, qual è la sua funzione e per cosa invece lo stanno spacciando. Con semplice intuizione comprenderemo che è solo un primo movimento, primissimo, per districarsi nel ginepraio della Terra dei fuochi e il Paese che osserva, che ascolta, che segue, non può credere che si tratti del verbo che chiarisce le falsità costruite su questi territori.
Ho letto il dossier con interesse e attenzione e, per quanto mi sforzi, mi risulta difficile credere che questo documento sia considerato davvero affidabile e finale. Non posso credere che si sia cercato con solerzia di minimizzare ciò che negli ultimi decenni è avvenuto in Campania e non posso credere che le autorità e gli enti coinvolti davvero ritengano di avere tra le mani i risultati conclusivi di una indagine scrupolosa. È evidente, piuttosto, che quello compiuto in questi primissimi mesi di lavoro è soltanto l’esiguo passo iniziale per la comprensione di ciò che è accaduto e continua ad accadere. E i sorrisi imbarazzati, le parole studiate sin nel dettaglio, le risposte parziali date alla stampa, ne sono la dimostrazione.
Ma la cosa più paradossale, grottesca e offensiva è quel grafico a torta in cui spicca un unico dato, posto lì trionfante, come a voler chiudere definitivamente il sipario su tutto ciò che si è detto e scritto in questi anni sulla Terra dei fuochi. Un microscopico spicchio rosso con su scritto 2% e l’intera circonferenza verde a segnalare, persino nel colore, la sanità della parte maggiore dei territori.
Un grafico semplice di quelli che non vengono utilizzati più nemmeno a scuola per studiare i diagrammi, senza una legenda, senza spiegazioni coerenti, il cui messaggio è: fidatevi di questo dato, tutto è nella norma. La parte maggiore è quella distesa verde rasserenante, quel piccolo invisibile spicchio rosso è l’unica preoccupazione. Meno di un fazzoletto di terra: quel 2% ritenuto pericoloso. Niente di cui allarmarsi, dunque. Niente di apocalittico in quell’area tra Napoli e Caserta. E infatti non sono tardate tristi affermazioni del tipo: “Vedete? È tutto falso, il Nord non ha inquinato il Sud come ci hanno raccontato”.
Come se raccontare il sodalizio criminale tra quelle aziende del Nord che volevano smaltire rifiuti speciali a basso costo e la criminalità organizzata del Sud che glielo ha consentito, sia stato tifare per una squadra piuttosto che per un’altra. Come se sia ancora possibile negare che in ventidue anni sono stati smaltiti nella Terra dei fuochi oltre 10 milioni di tonnellate di rifiuti di ogni specie. Dal 1991 al 2013 sono state censite da Legambiente 82 inchieste per traffico di rifiuti, con 915 ordinanze di custodia cautelare, 1.806 persone denunciate e il coinvolgimento di 443 aziende in gran parte del Centro e del Nord Italia. Negli ultimi cinque anni nella Terra dei fuochi si sono concentrati 205 arresti per traffici e smaltimenti illegali, pari al 29,2% del totale nazionale, e oltre mille sequestri, il 10% di quelli effettuati in tutta Italia. Tutti questi dati, già dimostrati dalle inchieste, dove sono finiti? Cancellati, e al loro posto arriva quel 2% come un pugno nello stomaco, che toglie il respiro e annebbia la vista.
Eppure non sarebbe stato difficile ammettere che tutto questo era solo un punto di partenza: per quanto riguarda i roghi monitorati, ad esempio, a essere prese in considerazione sono state soltanto quelle aree per cui si è reso necessario un intervento dei Vigili del fuoco superiore alle cinque ore. Non si fa cenno ai 6.915 roghi censiti dal lavoro del Prefetto Donato Cafagna tra il gennaio 2012 e il dicembre 2013. Vengono tralasciati tutti gli incendi che hanno richiesto interventi inferiori alle cinque ore di lavoro: roghi piccoli e continui di rifiuti, pneumatici e vestiti che sono migliaia e che influiscono anche loro nella contaminazione dei terreni. Nulla importa che dai calcoli siano escluse le aree agricole vicine agli impianti di
smaltimento dei rifiuti o le cosiddette “aree vaste” già contaminate come “Lo Uttaro”, per le quali c’è da attendere un’analisi più approfondita che sarebbe dovuta durare un anno. E nulla importa che le aree vengano ritenute a rischio solo sulla base di vecchi dati, perché in questo ambito riferirsi a dati di novembre 2013 vuol dire parlare di preistoria. Le associazioni sono rimaste senza alcuna voce in capitolo. Legambiente non è stata interpellata, i comitati cittadini, che pure si sono impegnati in prima linea, non sono stati ascoltati. Chi ha redatto la relazione non ha fatto una reale campionatura della terra: infatti, se si fa riferimento alla tabella della sintesi per la conferenza stampa, per ogni classe di rischio, le analisi risultano ancora un progetto (e addirittura vengono previsti i tempi in cui attuarle). Ed è proprio qui che risiede il paradosso: nell’avere con imprudenza sbattuto in faccia alla popolazione l’assenza di pericolo per tante aree agricole, sulla base di analisi ancora non svolte. Non sono stati fatti carotaggi, ma si rimanda sempre e genericamente ad analisi successive, a prelevamenti di campioni dal sottosuolo.
Il 98% del terreno destinato alle coltivazioni, quindi, non sarebbe a rischio inquinamento. Viene il dubbio, credo ragionevole, che tutta questa pantomima cui si sono prestati ministri e governatori sia in realtà un’operazione per salvare il salvabile, per evitare la completa rovina dell’economia campana basata sui prodotti agricoli. Dovremmo quindi voltare pagina quando la verità sulla Terra dei fuochi è ancora tutta da scrivere. Del resto, quel 2% costituirebbe un’area talmente piccola che potrebbe giustificare un esiguo stanziamento di fondi per le bonifiche che devono essere pianificate. Se le aree da bonificare fossero maggiori, siamo sicuri che la Regione Campania e il Paese avrebbero la forza economica per poterle gestire? Il 74% dei circa duemila siti censiti non ha avuto alcuna bonifica. Mentre chi ha inquinato quei 21,5 chilometri quadrati di territorio ha potuto farlo perché non ha rischiato e, tuttora, non rischia nulla. Ecco perché è indispensabile che il Senato approvi quanto prima l’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale. Qui si gioca un altro dei paradossi furbi di questo documento: le aree sono state classificate sulla base di analisi datate e circoscritte attraverso un monitoraggio aereo. Il dossier non a caso parla di “georeferenziazione” della Terra dei fuochi che è sinonimo di geolocalizzazione. Questo significa che, fino ad ora, la mappatura che è stata fatta prescinde dalla necessità di approfondire le analisi chimiche dei terreni e qui giunge un’altra verità: incredibilmente i sette siti più a rischio non coincidono con le aree di stoccaggio delle ecoballe e delle discariche. Si sono accumulati oltre 5 milioni di ecoballe corrispondenti a 6 milioni di tonnellate di rifiuti che non potrebbero essere smaltiti termovalorizzazione perché non composti a norma. Le ecoballe sono state stoccate in giro per la regione. Tutto questo rientra in quello spicchietto rosso? Pare di no. L’unica cosa davvero certa, riguardo ai dati diffusi, è che c’è tanto lavoro da fare perché i numeri siano credibili. Bisogna censire e classificare le aree agricole delle cosiddette “aree vaste”, devono essere prese in considerazione le terre limitrofe agli impianti di smaltimento dei rifiuti, vanno fatte le analisi dei terreni interessati dai roghi, le ricadute al suolo degli inquinanti, l’eventuale utilizzo delle acque di falde contaminate, captate con pozzi agricoli abusivi.
Come deve muoversi il governo davanti a tutto questo? Confrontandosi per esempio con persone come Peppe Ruggiero ed Enrico Fontana, osservatori delle Terre dei fuochi da oltre un decennio e aprire la ricerca e il monitoraggio. Hanno visto le decine di documentari? Uno fra tutti “Biutiful Cauntri”? Il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina dovrebbe richiamare all’ordine quei dirigenti un po’ troppo solerti che hanno scambiato l’avvio di un lavoro per la sua rassicurante conclusione, che hanno circoscritto il dramma della Terra dei fuochi a 64 ettari di terreno. Bisogna vigilare affinché lo stesso metodo non si applichi allo screening sanitario. Ho la percezione che il prossimo passo possa essere minimizzare anche in questo ambito. Minimizzare, per far serpeggiare l’idea di una farsa. Temo che al governo prema piuttosto archiviare immediatamente la pratica come risolta e nel tempo suggerire che non esistono epidemie, che i morti bambini sono nell’ordinaria strage che il cancro genera in ogni angolo di mondo, ammorbando ogni famiglia, ogni territorio. Senza responsabilità dirette. E in Campania, incredibilmente, non esiste ancora un registro per i tumori (a dire il vero lo hanno appena approvato, e quindi sono nel giusto se dico che di fatto non esiste) che a scriverla questa cosa sembra già un bestemmia. Perché a oggi non lo sappiamo a cosa siano dovute le morti di cancro; se, come dice il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, alle cattive abitudini o ad altro.
Credo sia piuttosto una cattiva abitudine svolgere il proprio lavoro in questo modo, non avendo altro come obiettivo che una costante campagna elettorale. Ci si augura, ma i dubbi sorgono, che lo screening sanitario non venga effettuato con la stessa superficialità, magari prendendo unicamente i dati ufficiali pregressi o dando per veritieri i soli dati di ospedali locali, con la certezza che a curarsi e a morire si va nelle strutture del Nord. Lo screening dovrà essere reale e non costruito ad arte. Limitandosi a leggere questa relazione, si comprende che c’è stato un drammatico fraintendimento: il lavoro di censimento è appena agli inizi e sulla base dei dati disponibili è emersa l’esistenza di 21,5 km quadrati di territori a rischio di cui 9,2 agricoli; sempre
sulla base di tali dati sono stati individuati già 64 ettari di terreni in cui vietare immediatamente la produzione agricola.
Invece di essere letto come un dato allarmante, ovvero, se attraverso i dati già disponibili siamo giunti a questo risultato, immaginiamo cosa potrà emergere da analisi dettagliate. Ecco, invece di essere questo l’assunto di partenza, il dossier appena redatto è sembrato il trionfo dell’ottimismo sul pessimismo. Del pragmatismo sull’allarmismo.
Come è possibile non rendersi conto che in questo modo si dà ragione alla peggiore informazione, informazione che in questi anni ha giocato sporco, consicon
derando esagerazione e propaganda politica le denunce, giustificando così la propria omertà e incompetenza su questi temi. Allo stesso tempo si sono date munizioni all’isteria collettiva pronta a credere al disastro nucleare, a quella fazione cialtronesca che in questi mesi ha svelato inesistenti contaminazioni e nel migliore dei casi ha parlato con la sola pressione dell’emotività. Questi ora potranno dire e sarà difficile dargli torto: “Vedete come il potere nasconde i fatti?’. E verranno ascoltati più di quanto lo siano adesso. E verranno ascoltati perché alla censura dei governi fa sempre il paio l’emotività più dirompente e nefasta. Il puzzo dalla Terra dei fuochi non è scomparso e, per quanto lo si neghi, in tutte le famiglie ci sono devastanti esperienze di cancro infantile.
A tutto questo non si può rispondere con quel diagramma. Per tutti quei ricercatori, quegli analisti, per chi negli anni ha raccontato il territorio, sarà sempre più complesso cercare di differenziarsi in questo coro di delirio. Per quegli imprenditori che continuano a credere nel Sud nonostante la politica italiana (non solo quella campana) faccia di tutto per mortificarne la passione, la dedizione e la professiona-lità, questo dossier è un’umiliazione. Se produco mele, se produco vino, se produco conserve, se produco pasta in Campania vorrei poter orgogliosamente dire che il mio Paese ha condotto analisi serie e che il terreno che produce il mio grano, le mie mele, le mie uve è un terreno sano, è un terreno monitorato, è un terreno, se occorre, bonificato. È un terreno ridato alla vita. Non vorrei che sui miei prodotti stagnassero ombre gettate dall’incompetenza di chi non sa affrontare le emergenze. Che non vede le emergenze come opportunità per risolvere e rilanciare un territorio.
A volte provo invidia per come in altri luoghi si riescano ad affrontare situazioni gravissime con pragmatismo e serietà, per
come si riesca a comprendere che a tutto c’è un limite, alla propria carriera, al proprio arricchimento personale, in nome di qualcosa di più grande e di più alto. Nel 2002 la petroliera “Prestige” affondò al largo della Galizia provocando un disastro ambientale di dimensioni gigantesche. La Galizia è una regione povera che vive prevalentemente di pesca ma questa tragedia invece di mortificarla l’ha fatta rinascere. L’anno dopo il disastro e le operazioni di estrazione del combustibile le spiagge della Galizia avevano più bandiere azzurre di prima. E questo perché nonostante gli errori e i ritardi della politica, le persone avevano adottato la loro terra, l’avevano amata come mai prima di allora e con tutto l’ardore che la possibilità di cambiamento dona avevano bonificato chilometri e chilometri di costa. Ma certo tutto questo da noi non sarà possibile se la lucidità lascerà il posto alla
ragion di Stato per uno Stato che non ha ragioni da vantare.
Spero che possano essere chiarite la funzione e la natura di questo documento. Spero che i politici campani, quelli che hanno percorso centinaia di volte la Nola-Villa Literno e che centinaia di volte hanno dovuto turarsi il naso, quelli che sanno come si vive nelle provincie di Napoli e Caserta, dove basta una minima emergenza per inondare le strade di monnezza e bloccare finanche gli accessi alle scuole, pretendano serietà, rigore e trasparenza. Vorremmo non dover utilizzare anche riguardo alla Terra dei fuochi quelle parole terribili che Karl Kraus scrisse nel 1918: «Nero su bianco: ora la menzogna si presenta così».



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