Ucraina, il fallimento dell’Europa solo atlantica

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Che nes­suno voglia morire per Kiev è ovvio. E che la nuova «guerra di Cri­mea» fini­sca in una bolla di sapone è assai pro­ba­bile. La deci­sione di Putin di riti­rare le truppe dal con­fine ucraino dimo­stra come i russi, lungi dal pra­ti­care una pura poli­tica di forza, siano capaci di fare i loro cal­coli. Chia­rito in via defi­ni­tiva che non con­sen­ti­ranno mai un pas­sag­gio dell’Ucraina alle strette dipen­denze di Washing­ton, è pos­si­bile che si vada verso un qual­che tipo d’accordo, con il pas­sag­gio della Cri­mea alla Rus­sia, dopo un ple­bi­scito, e il rico­no­sci­mento di una forma più o meno lar­vata di auto­no­mia alle regioni rus­so­fone dell’Ucraina.
Detto que­sto, è anche vero che il caso ucraino chiama in causa una que­stione ben più ampia, e cioè la defi­ni­zione delle sfere d’influenza reci­pro­che di occi­dente e Rus­sia.
Per chia­rire, poniamo per assurdo (come si dice in mate­ma­tica) che in un futuro più o meno lon­tano uno stato con­fi­nante con gli Usa, che so il Mes­sico o il Canada, sti­puli un accordo mili­tare con i russi o i cinesi. È impen­sa­bile, ovvia­mente, ma pro­prio l’impensabilità è una misura della rela­zione equi­voca che Usa e Europa con­ti­nuano a pra­ti­care con la Rus­sia. Que­sta è cir­con­data da ogni parte dalla Nato e dalle basi Usa (dalla Tur­chia all’Asia cen­trale cinese).
Il caso della Geor­gia nel 2008 ha mostrato sia la volontà dei russi di non subire inge­renze nel Mar Nero e nel Cau­caso, sia il vel­lei­ta­ri­smo occi­den­tale (in par­ti­co­lare di George W. Bush) che aveva susci­tato spe­ranze impos­si­bili nei geor­giani. Dopo vent’anni di umi­lia­zioni (v. i Bal­cani), era ine­vi­ta­bile che i russi difen­des­sero la loro zona d’influenza stra­te­gica, come gli Usa hanno sem­pre fatto a casa propria.Le rela­zioni inter­na­zio­nali hanno una loro logica, sgra­de­vole quanto si vuole, ma oggettiva(perché basata sulla forza e sull’influenza). Di con­se­guenza, si rimane alli­biti di fronte agli appelli a una sorta di guerra per l’esportazione della demo­cra­zia, che si leg­gono sulla grande stampa, come l’articolo di Bernard-Henri Lévy ieri sul Cor­riere. A que­sto pseudo-filosofo esal­tato non è basta la tra­ge­dia della Libia, che ha fomen­tato insieme a Sar­kozy. Voleva la guerra in Siria e oggi vor­rebbe qual­cosa del genere in Ucraina. E que­sto è tanto più grot­te­sco, quanto più le can­cel­le­rie occi­den­tali sanno bene che Putin non ha affatto brutte carte in mano: dal ricatto ener­ge­tico verso Ucraina ed Europa fino a un’ alleanza stra­te­gica con la Cina.
Putin è stato deci­sivo nella gestione della crisi in Siria e anche nel favo­rire la disten­sione Usa-Iran. È quindi incre­di­bile che la stampa ospiti arti­coli di fal­chi che pro­pon­gono l’intervento della Nato in Ucraina, qual­cosa non solo di impen­sa­bile, ma con­tra­rio a lungo andare agli stessi inte­ressi Usa.
Quanto pre­cede non ha nulla a che fare con un’accettazione a priori della poli­tica interna o estera della Rus­sia. La demo­cra­zia di Mosca è quello che è, il regime di un super-oligarca sprez­zante verso la libertà d’opinione. Il pre­si­dente ucraino fuggito,Yanukovic, è uno dei despoti san­gui­nari e inetti che Putin usa e getta via in base ai suoi inte­ressi. Ma cre­dere che la Tymošenko sia una santa e che le mili­zie para-naziste che hanno cac­ciato Yanu­ko­vic offrano un gran futuro all’Ucraina non è che deli­rio alla Bernard-Henri Lévy.
Dis­solti i fumi della pro­pa­ganda di entrambe le parti, ciò che resta è l’incapacità dell’occidente di entrare in rela­zione con i poteri mon­diali (nel nostro pic­colo, la gestione del caso marò, tra fur­bi­zia e tra­co­tanza, dà una per­fetta idea dell’incomprensione della realtà delle potenze emergenti).Chi al momento esce peg­gio dalla vicenda ucraina è l’Europa. Divisa tra la appa­rente linea dura Usa e bel­li­ci­smo Nato, da una parte, e prag­ma­ti­smo mer­can­tile tede­sco, dall’altra, l’Europa stre­pita, ma è inca­pace di agire. Poteva aiu­tare l’Ucraina, sull’orlo del bara­tro eco­no­mico, e non l’ha fatto. Priva di testa, un po’ atlan­tica e un po’ ammic­cante all’est, l’Europa fal­li­sce pro­gram­ma­ti­ca­mente là dove potrebbe assol­vere una fun­zione di ponte tra Usa e stati emer­genti, favo­rendo i nego­ziati. E quindi i i suoi rug­giti oggi non fanno paura a nessuno



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