Venezuela: dalle guarimbas agli omicidi mirati
Dalla guerriglia di piazza con molotov, barricate e trappole (le “guarimbas”), alle uccisioni di militanti e studenti chavisti riconosciuti. Sembra questa la nuova fase imposta dai gruppi oltranzisti alle proteste contro il governo, iniziate in Venezuela il 12 febbraio. Altri due leader studenteschi di sinistra sono morti così, uccisi dalle pallottole di incappucciati in moto. A un mese dalle manifestazioni studentesche, promosse dalla Mesa de la unidad democratica (Mud) per chiedere “la salida” (l’uscita) del presidente Nicolas Maduro dal governo, due concentrazioni di segno opposto sono tornate a marciare ieri nella capitale.
I giovani del Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) hanno sfilato fino al Ministerio publico, e proseguito poi per il Cuartel de la Montana, dove si svolgono le iniziative politico culturali in ricordo di Hugo Chavez (scomparso il 5 marzo dell’anno scorso). Una marcia “di festa, cultura e pace” per ribadire la forza della “democrazia partecipativa e protagonista” nel socialismo bolivariano: e per invitare al dialogo la maggioranza degli studenti di segno opposto, che si sono smarcati dalle violenze. D’altronde, in base ai profili degli arrestati, solo una piccolissima percentuale risulta essere effettivamente costituita da studenti.
La marcia della Mud, che intendeva convergere al Ministerio publico, è stata invece confinata al quartieri est della capitale: “Non voglio estendere la guerra a tutta Caracas, devo difendere la tranquillità dei cittadini. E comunque, nessuno ha chiesto l’autorizzazione a manifestare, come si fa in ogni paese democratico”, ha detto martedì sera il presidente venezuelano, inaugurando un nuovo programma radiofonico “En contacto con Maduro”.
In quel contesto, ha spiegato perché non si è recato alla cerimonia d’incarico della presidente cilena Michelle Bachelet: avendo avuto notizia di una manifestazione “pinochettista” organizzata contro di lui, non ha voluto disturbare la cerimonia. Ha anche annunciato l’arrivo in Venezuela di una missione della Unasur. I 12 ministri degli Esteri, riuniti in Cile, lo hanno deciso ieri. Già il 15 febbraio, l’organismo regionale aveva denunciato l’aggressione violenta contro il governo. E la settimana scorsa, 29 paesi dell’Organizzazione degli stati americani (Osa) hanno respinto la proposta di Canada, Stati uniti e Panama di inviare a Caracas una missione speciale.
Negli Usa, i membri del Comitato per le relazioni estere del Senato, presieduto dal democratico Bob Menendez, hanno invece approvato martedì all’unanimità una risoluzione bipartisan che sollecita il presidente Barack Obama a disporre sanzioni specifiche contro “persone coinvolte nella repressione in Venezuela”: divieto dei visti e congelamento dei beni. La risoluzione, che sarà discussa dal Senato, esorta il governo Maduro a “disarmare le milizie progovernativee a permettere indagini indipendenti e imparziali sull’uso eccessivo della forza delle forze dell’ordine nei confronti dei manifestanti”. Il Comitato ha anche criticato la decisione dell’Osa. Martedì, anche la presidente del Brasile, Dilma Rousseff, ha annunciato che Unasur creerà una commissione di interlocuzione e mediazione nella crisi venezuelana, ma non a senso unico. E i governi socialisti dell’America latina, come Bolivia e Ecuador, hanno fortemente sostenuto il “governo democratico e legittimo del Venezuela”.
Ieri, a Ginevra, la Difensora del pueblo, Gabriela Ramirez, ha presentato agli organismi per i diritti umani dell’Onu le indagini in corso sui presunti maltrattamenti e violazioni all’integrità personale denunciati durante le violenze. Ha anche illustrato il “clima di violenza e di odio” che, nei suoi confronti, si è espresso con minacce “di tortura e morte” ai suoi bambini e a lei stessa. Su 44 casi indagati, è stato deciso l’arresto per sospette violazioni di 14 funzionari, 6 sono del Servizio Bolivariano de Inteligencia Nacional (Sebin), 4 della Polizia nazionale (Pnb), due della Polizia municipale di Chacao, uno del Merida e un sergente dell’Esercito nazionale bolivariano (Enb). Martedì è stata inaugurata una Scuola nazionale di difesa pubblica, improntata alla prevenzione e ai diritti umani, l’unica in America latina.
Nonostante il grande sforzo per bonificare i vari corpi deputati al controllo, c’è però evidentemente ancora da fare. Parlando con diversi militari, che svolgono attività sociale, ma anche compiti di difesa, abbiamo riscontrato la ferma volontà di difendere il governo legittimo, ma anche una certa insofferenza per il pacifismo governativo a fronte delle proteste violente. “Prima di capire che non ero dalla parte giusta, facevo il poliziotto nella IV Repubblica. Sparavamo sugli studenti senza problemi, dai tetti o per strada. Invece questa storia sta durando all’infinito”, ci ha detto un membro delle scorte ai politici. E di voci analoghe ne abbiamo raccolte parecchie.
Anche la ministra del sistema Penitenziario, Iris Varela, ha denunciato di essere stata accusata di aver liberato detenuti armati, di aver ricevuto minacce e danni alla casa dei genitori. La tesi della destra, che intossica le reti sociali, è che siano gli stessi chavisti a uccidere i loro per aumentare la tensione e provocare la repressione. La alimenta dal carcere il leader di Voluntad popular, Leopoldo Lopez, accusato di aver istigato le violenze. Lopez, che sostiene di essere isolato, ma che ha evidentemente a disposizione la tecnologia necessaria per inviare proclami ai “guarimberos”, invita i suoi a non desistere dalla guerriglia di piazza.
E mentre una parte dell’opposizione ha accettato la mano tesa di Maduro e le sessioni di dialogo che si stanno svolgendo in diverse parti del paese, i sindaci più barricaderi hanno costituito un’associazione per coordinare proteste e iniziative. Pur divisa e litigiosa, la Mud ha rinnovato la richiesta di un intervento esterno contro il governo venezuelano, sia all’Onu che all’Europa, consegnando una lettera al consolato portoghese a Caracas: per reiterare l’ossessione contro “la presenza di Cuba nel governo” e il sostegno “ai pacifici manifestanti”.
Durante la trasmissione “En contacto con Maduro”, che si svolgerà ogni martedì, il presidente della repubblica ha dato notizia di altre devastazioni in corso nella capitale, come l’attacco al Ministero per la casa e l’abitare. Di fronte al Parque Carabobo, dove si trova il Ministerio publico, sono ancora in corso i lavori per ripristinare il marciapiede, i cui lastroni sono stati divelti durante i disordini del 12 febbraio. Finora, secondo le autorità locali, i danni al patrimonio pubblico della capitale ammontano a 15 milioni di bolivar (circa un milione di euro).
In dialogo con i giornalisti, Maduro ha ricordato la sua militanza giovanile nel movimento studentesco e nelle lotte sindacali dei trasporti, e la forte repressione subita durante le democrazie della IV Repubblica. Ha ribadito il suo appoggio, allora, alla riconversione legale dei gruppi armati e la convinzione che l’uso della violenza, in determinate circostanze storiche, dev’essere appoggiata dal popolo. Un doppio messaggio, alla sua estrema sinistra e al paese per sostanziare l’immagine di un Maduro pacifista e gramsciano, aperto al dialogo con tutte le componenti sociali.
“I grandi media – ha detto il presidente – pubblicano pagine contro il Venezuela, ma neanche una riga sui 2.500 medici integrali che si sono laureati in questi giorni. Nella IV repubblica, se non avevi i soldi per curarti, morivi: come avviene oggi negli Stati uniti e come sta succedendo in Europa. Da noi, la sanità è gratuita, le pensioni aumentano e non si tagliano, e il salario minimo è il più alto dell’America latina”.
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