“Così Alemanno pretese l’incasso della tangente da 200mila euro”

by redazione | 1 Aprile 2014 10:47

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ROMA. Un verbale di interrogatorio di otto pagine (sin qui inedito in quelle sue parti rimaste a lungo protette da omissis) dimostra che ci sono uomini politici decisamente più fortunati di altri quando inciampano nel codice penale. E che Gianni Alemanno è uno di questi. Le carte in questione, che documentano come, quando e in che modo l’ex sindaco di Roma pretese un finanziamento illecito di 200 mila euro in una nota e macroscopica vicenda di corruzione (l’appalto per una fornitura di 45 filobus destinati al cosiddetto “corridoio Laurentina” per la quale la Breda-Menarini, controllata di Finmeccanica, pagherà una tangente di 700 mila euro, 500 mila dei quali destinati al ventriloquo e tesoriere del sindaco, Riccardo Mancini), portano infatti la data
del 1 marzo 2013 e tuttavia rimangono per un anno esatto un “mistero glorioso”.
Di più, l’iscrizione al registro degli indagati con altri 19 dell’allora sindaco, ancorché un segreto di Pulcinella, diventa di pubblico dominio solo nell’ottobre del 2013, nel momento in cui il nostro è politicamente morto (ha lasciato il Pdl ed è stato sconfitto qualche mese prima da Ignazio Marino) e la Procura di Roma chiede una proroga delle indagini sul suo conto. Insomma, poco più che una curiosità, che Alemanno, in quei giorni, può serenamente liquidare con il distratto fastidio con cui si scaccia un moscerino: «Per quello che mi risulta — scrive in una nota alle agenzie di stampa — si tratta della coda di una vecchia inchiesta. Un atto dovuto per i necessari approfondimenti da parte degli inquirenti. Sono sereno e ho fiducia nel lavoro della magistratura
».
«Un atto dovuto», «una coda di una vecchia inchiesta». Insomma, roba da niente. Poco più che una formalità. Bene. Le cose stanno davvero così?
Il verbale di otto pagine documenta il contrario. Interrogato dal pm Paolo Ielo, a parlare è Lorenzo Cola, il facilitatore della Finmeccanica di Guarguaglini e Borgogni, l’ex estremista di destra con una passione per i cimeli del Fascio e del Terzo Reich, travolto, a partire dal 2011, nelle inchieste sugli appalti Enav. Ebbene, nel tirare i fili di una vicenda di
malversazione in cui gli viene chiesta da Finmeccanica una «facilitazione gratuita» per il pagamento di una tangente su appalto (i filobus, appunto) ritenuto dalla holding il passepartout per sedersi al ricco tavolo dei lavori per la linea C della Metropolitana, Cola svela come a Roma, negli anni della giunta di centro- destra, il Sistema prevedesse che non si muovesse un mattone e comunque un centesimo di spesa pubblica senza dover pagare dazio all’uomo battezzato dall’allora Sindaco come grande collettore, Riccardo Mancini. E ancora: che quel Sistema fu personalmente “aggiornato” da Alemanno, con l’indicazione di un altro tragitto per le tangenti, allorché il Sindaco scoprì che Mancini non rispondeva più con la fedeltà che era pretesa. Forse perché
ingolosito. O, più probabilmente e come le indagini della Procura stanno verificando, perché chiamato a rispondere anche ad altri padroni, meno malleabili e più cattivi di Alemanno. Diciamo pure vecchi fantasmi di un lontano passato datato anni ’70-’80, in “batterie” dove criminalità organizzata e violenza politica (i Nar) avevano trovato la loro sintesi.
Cola, dunque. Nel suo racconto, la scena madre che ha come protagonista Alemanno si consuma una sera di «fine 2009», nell’elegante appartamento che in quel momento abita ai Parioli. Anna, la domestica polacca, e Canti, la cuoca indiana, servono a tavola cinque uomini. Cola e i suoi quattro ospiti. «Pier Francesco Guarguaglini (allora presidente
di Finmeccanica), il sindaco Gianni Alemanno, Fabrizio Testa (suo uomo e allora presidente di Technosky, controllata Enav), e Pietro Di Paoloantonio (altro suo fedelissimo, futuro assessore regionale con la Polverini e oggi consigliere regionale del Ncd)». Racconta Cola: «Alemanno mostra di essere a conoscenza dei pagamenti intervenuti a favore di Mancini(i500milaeuroperi45filobus, ndr), ma il tipo di reazione che ha evidenzia che non erano pagamenti con lui concordati e manifesta molto fastidio per ciò che è avvenuto». Un fastidio, evidentemente, che non ha a che fare con l’indignazione di chi scopre le stimmate della corruzione nel suo cerchio magico. Al contrario, la furia di chi ha scoperto di essere stato “fottuto”. E infatti, prosegue Cola,
ecco cosa accade a quel tavolo. «In quella sede, si modifica l’originario accordo, per cui i residui 200 mila euro dell’accordo originario saranno pagati a Di Paoloantonio, rappresentante dell’articolazione del Pdl riconducibile al sindaco Alemanno nel consiglio regionale ».
In realtà, Di Paoloantonio (o se si preferisce Di Paolo, perché è il nuovo cognome che ha scelto da qualche tempo) è qualcosa di più per Alemanno. È un affare di famiglia. Ha sposato infatti Barbara Saltamartini, oggi deputata del Nuovo Centro-destra di Alfano e alla fine degli anni ‘90 legata sentimentalmente ad Alemanno, che la “inventa” politicamente dal nulla. Di Paolo, in altri termini, è Alemanno. Se possibile, quanto e più di Mancini. Con il vantaggio di non dover rispondere ad altri inconfessabili padroni. E infatti «il nuovo accordo » non conosce imprevisti. I 200 mila euro chiesti dal Sindaco arrivano. Ricorda Cola: «Parlai con Testa che mi confermò che i soldi erano stati consegnati a Di Paoloantonio, cosa che mi confermò a sua volta Maurizio Iannilli. Mi disse anche che la provvista era stata realizzata da Subbioni, amministratore di Electron, controllata Finmeccanica, con operazioni su san Marino, anche se non so in che modo». Ora, una domanda: quante altre “operazioni” in conto Alemanno sono passate per Di Paoloantonio dal 2010 in avanti?

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